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Manifesto: La scienza DI OBAMA

NEUTRALI IN NOME DELLA VERITÀ

17/06/2009
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il manifesto

Richard A. Muller è un fisico noto per le polemiche sull'uso politico della ricerca. Chiamato alla Casa Bianca come consigliere, è autore di un saggio dove ripropone l'ideologia di una scienza oggettiva che soccorre il potere per prendere le giuste decisioni
Andrea Capocci
Richard A. Muller insegna all'università di Berkeley, in California. Tiene un corso particolarmente indicato allo studente che da grande voglia diventare un nuovo Obama. Si chiama «Fisica per i presidenti del futuro» e, dagli appunti delle lezioni, Muller ha tratto un libro con lo stesso titolo, un successo commerciale ora tradotto e pubblicato dalla casa editrice Codice. Nel nostro basso impero, per la verità, la competenza non pare una virtù indispensabile per le poltrone che contano. Infatti, Fisica per i presidenti del futuro. La scienza dietro i titoli dei giornali (pp. 323, euro 26) non è indirizzato solo all'establishment. È un saggio davvero leggibile, senza formule matematiche e adatto anche per chi non diventerà mai nemmeno assessore in provincia.
Ma immaginate, per un attimo, di dover davvero governare un paese importante come gli Stati Uniti. Secondo Muller, la formazione avvocatesca dei politici tradizionali non vi basterà più. Dovrete avere rudimenti di fisica, perché molte delle sfide che dovrete affrontare potranno essere interpretate correttamente solo se capirete le leggi della natura.
Emotività dei numeri
Prendete ad esempio il terrorismo: temete che un gruppo di invasati possa usare armi nucleari per radere al suolo intere città? Basta ragionarci un po' sopra per rendersi conto che una bomba sporca all'uranio non è un'arma di distruzione di massa - checché ne dica il diritto internazionale - e che le atomiche di Hiroshima e Nagasaki non possono essere costruite artigianalmente. Capireste dunque perché nel più grande attentato della storia americana, quello dell'11 settembre, è stato impiegato un esplosivo così comune da passare inosservato, il carburante degli aerei (Muller non prende nemmeno in considerazione le tesi cospirazioniste secondo cui il collasso del World Trade Center non è stato causato dai velivoli dirottati). Bastava la fisica, per capirlo. Oltre al terrorismo, con lo stesso atteggiamento positivista Muller passa in rassegna le questioni globali che ritiene più scottanti come l'energia nucleare, i cambiamenti climatici e l'esplorazione dello spazio. In ognuno di questi campi, Muller esamina i dati scientifici a nostra disposizione, li analizza con ragionamenti da liceo scientifico (non serve molto di più, secondo lui) e dimostra che spesso i mezzi di comunicazione e i policy maker, alla ricerca del consenso più che delle soluzioni più appropriate, ci guidano verso strade sbagliate. Muller se la prende soprattutto con chi, per uno scopo o per un altro, diffonde false notizie provocando paure irrazionali o speranze illusorie. Se guardassimo i numeri con meno emotività, ad esempio, le scorie radioattive non ci preoccuperebbero più di tanto: invece di cercare caverne sicure per seppellirle, dovremmo tenerle in circolazione finché non saremo in grado di utilizzarle come combustibile per le centrali nucleari di prossima generazione. Né l'idrogeno tanto amato da Beppe Grillo potrà farci superare la crisi del petrolio, visto che non produce energia ma si limita a trasportarla.
E la favola dell'energia solare gratuita: avete mai chiesto il prezzo di un pannello solare? I costi di un cambiamento tecnologico eccedono spesso i vantaggi economici che ne derivano. Anche sul trattato di Kyoto, Muller la pensa più o meno come George W. Bush: è inutile, senza l'impegno di Cina ed India. Se continueremo ad utilizzare petrolio e carbone, dunque, non sarà colpa di lobby e complotti transnazionali, ma della semplice convenienza economica: basta fare due conti, ma con i fattori giusti. Anche gli esperti, del resto, si affidano spesso al buon senso. Come quella volta in cui un fisico incaricato di vigilare sui piani nucleari nord-coreani chiese solo di prendere in mano un lingotto del loro plutonio: gli fu sufficiente per capire che i militari facevano sul serio.
Ce n'è abbastanza, dunque, per irritare ambientalisti e chiunque promuova un modello di sviluppo diverso da quello dominante. In un commento sul sito della libreria online Amazon.com un lettore ha deformato il titolo del libro in «La fisica per futuri presidenti di destra». Muller, però, non è un ideologo neocon, tutt'altro. È un consigliere dell'amministrazione Obama, ed ha fondato una società di «consulenze imparziali sull'energia» (denominata GreenGov) che collabora con imprese e governi di ogni colore. In tutte le questioni che affronta, infatti, Muller ammette che la conoscenza dei dati scientifici di per sé aiuta, ma non è sufficiente per effettuare scelte politiche corrette.
Le decisioni di un politico dipendono anche da molti altri fattori, che non possono essere valutati a tavolino. Ma più i cittadini e i governanti saranno informati, meglio potranno giudicare se le politiche intraprese sono coerenti con gli scopi prefissati, anche a costo di abbandonare comodi pregiudizi. Come nel campo della crisi energetica: i pannelli solari costano ma il Sole fornisce comunque energia in grande quantità. L'energia solare costituisce realmente un'alternativa possibile, ma non saranno gli spiriti animali del mercato a farci abbandonare il petrolio. Le politiche pubbliche favorevoli alle energie rinnovabili dovranno tenerne conto.
Orsi bianchi alla deriva
È nel capitolo dedicato ai mutamenti climatici - il più approfondito - che Muller argomenta meglio questo suo approccio. Nel dibattito sulle cause umane o naturali del riscaldamento globale, lo studioso americano fa sue le conclusioni dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, indirizzo Internet: www.ipcc.ch), l'organismo scientifico incaricato di esaminare il problema sulla base di tutta la letteratura scientifica a disposizione. Secondo l'Ipcc, con il 90 per cento di probabilità l'uomo ha contribuito all'attuale temperatura della Terra, la più alta da quattrocento anni. Tuttavia, Muller mette in guardia contro chi, sul riscaldamento globale, ha costruito catastrofismi che non possono essere suffragati dalla scienza. Le dinamiche climatiche, infatti, sono tuttora largamente incomprese dagli studiosi e non permettono troppe certezze. Muller non se la prende tanto con chi nega tout court le responsabilità dell'uomo, ma con i più faziosi del suo stesso campo. Come l'ex-vicepresidente americano Al Gore, che grazie al riscaldamento globale ha accumulato un'enorme fortuna politica, tanto da aggiudicarsi il premio Nobel per la pace nel 2007 proprio insieme all'Ipcc.
Ma Al Gore non è uno scienziato, e usa i dati in maniera disinvolta. Per esempio, nel suo celebre documentario «Una scomoda verità» ha mostrato orsi bianchi aggrappati a zattere di ghiaccio alla deriva, vittime commoventi dei mutamenti climatici. Lo scioglimento della banchisa del polo Sud, tuttavia, non è una prova del riscaldamento globale. Anzi, è in contraddizione con esso (e Muller spiega perché). Diffondere menzogne giustificate da una buona causa non è mai efficace, e rischia di danneggiare la causa stessa. Se gli scienziati scopriranno un giorno che l'anidride carbonica non è all'origine dei mutamenti del clima, come invece Gore dà per assodato, rischia di venire travolta ogni politica di risparmio energetico, la vera soluzione a portata di mano per molte delle questioni mondiali affrontate nel libro. Un politico attento deve tenere conto della complessità e della natura probabilistica delle conoscenze scientifiche, perché senza credibilità non potrà convincere i cittadini che le sue decisioni siano quelle giuste. Un più elevato livello di educazione diffusa, dunque, aiuterebbe i cittadini a sorvegliare meglio i governanti, e questi ultimi a prendere decisioni più assennate.
Impossibile autonomia
Questa tesi, più che l'opinione sul trattato di Kyoto o sulle scorie nucleari, è il punto più discutibile del libro. Muller, infatti, presuppone che la comunità scientifica produca in autonomia conoscenze neutrali ed oggettive, a cui la politica può scegliere di attingere per deliberare. Una democrazia efficiente utilizzerebbe tutte le conoscenze a disposizione, mentre i politici disonesti selezionano i dati secondo le loro convenienze. Gli scienziati, però, non sono isolati dagli altri attori della sfera sociale. Politica e scienza sono legate da un rapporto di reciproca influenza. Da un lato, le autorità - religiose, militari ed economiche, secondo il contesto geografico e storico - utilizzano la conoscenza scientifica per scopi politici. Ma dall'altro, gli esperti spesso cercano la loro legittimazione al di fuori della loro comunità scientifica, e proprio attraverso la politica.
Alla perenne ricerca di finanziatori, gli scienziati indirizzano i propri progetti verso settori in cui i risultati siano più spendibili: verso ricerche di interesse commerciale, nei campi in cui il finanziamento privato sia rilevante, oppure verso ricerche coerenti con le strategie politiche dominanti, laddove invece domina il finanziamento governativo. E ciò è tanto più vero in un'epoca come la nostra, in cui la ricerca a forte contenuto applicativo è privilegiata a scapito della scienza di base, in cui le scoperte non possiedono ricadute tecnologiche immediate. Per fare un esempio pertinente al tema del libro: con il tramonto dell'era-Bush e con l'investimento di Obama nella cosiddetta green economy - anche in chiave anti-cinese - quale climatologo americano intraprenderebbe ricerche che assolvano il petrolio e le politiche energetiche di Dick Cheney & Co.?
Non deve stupire, dunque, se anche la scienza fiuti il vento politico e produca dati «in linea» con lo spirito del tempo. Certo, il metodo scientifico ne garantisce la validità, ma a decidere le priorità dei problemi da affrontare non sono solo gli scienziati. Il lavoro scientifico è orientato almeno in parte verso quelle scoperte che la politica e l'economia hanno già mostrato di preferire: un politico, dunque, nel consultare tutti i dati a sua disposizione, deve tenere conto anche del contesto in cui si sono svolte le ricerche, dei finanziamenti che hanno ricevuto, delle regole interne alla comunità scientifica che li ha creati. In altre parole, un buon presidente del futuro deve tenere conto della scienza per fare politica, ma sapendo che la scienza ne verrà a sua volta influenzata. La questione è più complicata del previsto: persino un buon voto in fisica può non bastare.