Manifesto: La scuola è precaria, le piazze si riempiono
le piazze si riempiono «No Gelmini», iniziative in tutta Italia. Con le nomine si fa chiara l'entità dei tagli a didattica e occupazione
Le proteste dei precari dell'istruzione si moltiplicano: incatenati a Milano, sciopero della fame a Palermo, sui tetti a Benevento. Il sindacato però è frenato e diviso. La Cgil per il momento non chiama alla piazza ma chiede «un tavolo». Gli effetti deleteri della «riforma» Gelmini: classi sovraffollate, laboratori chiusi, gli studenti in difficoltà lasciati senza guida
Francesco Piccioni
A macchia di leopardo, ma con la velocità di una pandemia. La protesta dei precari della scuola - docenti e personale tecnico - contro i tagli di cattedre e posti decisi dal governo sta montando con il passare dei giorni e le prime verifiche. Dal primo settembre, infatti, è iniziata la «riffa» che come ogni anno chiama una marea di aspiranti supplenti (alcuni in questa posizione da più di 20 anni) per vedere se c'è un posto disponibile da qualche parte, nella propria provincia o altrove. Il teatro può cambiare - una scuola a Roma, un palasport a Firenze, ecc - ma la scena è la stessa. Avvilente.
Non è ancora un'esplosione, per molte buone ragioni. Il mondo della scuola presenta una notevole differenziazione soggettiva e, in molti casi, la speranza di esser baciati dalla fortuna ed avere una cattedra resiste in fondo all'animo fino all'ultimo. Le scolaresche cominceranno ad entrare in classe soltanto tra una decina di giorni; e i presidi possono nominare supplenti anche ad ottobre avanzato. Per molti, insomma, il brusco risveglio si tradurrà in necessità di «far qualcosa» solo nei prossimi giorni. Anche per gli «utenti» - gli studenti delle superiori e i genitori degli alunni di elementari e medie - scopriranno la nuova realtà (classi sovraffollate, problemi di sicurezza, orari ridotti, ecc) solo dopo lo squillo della prima campanella.
Ciò non ha impedito che le proteste iniziassero già in agosto. Le docenti arrampicatesi sull'ufficio scolastico provinciale di Benevento sono ormai - dopo soli tre giorni - delle stelle di prima grandezza in questo firmamento. E i politici fanno a gara per salire su quel tetto e farsi fotografare con loro. Prima il beneventano Viespoli (Pdl), poi il segretario del Pd Franceschini. Identico l'intento. Al punto che ieri hanno accolto l'ultimo visitatore con uno striscione eloquente: «Cari politici, turni di notte, non passerelle!». Non basta insomma una visita per trasformarsi in «difensori» credibili del mondo del lavoro. «Rimarremo in pianta stabile su quel tetto - ha aggiunto Daniela Basile, una delle freeclimber sannite - finchè non arriveranno proposte concrete da questo governo. Chiediamo un documento in cui ci si impegni a risolvere la questione del precariato, che non necessita più di palliativi, ma di interventi decisivi e definitivi. Siamo contenti della presenza dell'onorevole e della solidarietà di tutti, ma è il momento delle proposte concrete».
Catania, Palermo, Cagliari, Padova, Milano, Roma, Torino, ecc, offrono un quadro anche più mosso. Cambiano i simboli, come spesso accade nei movimenti spontanei. A Palermo e Milano si sono viste le catene, usate da un decina dei partecipanti al presidio di fronte agli uffici dei due provveditorati. A Milano si sono visti anche gli operai dell'Innse, che hanno portato la propria solidarietà ed esperienza. Solo nel capoluogo lomardo e provincia si contano 2.500 cattedre in meno.
In altri casi, invece, sono state scelte le mutande, per illustrare sinteticamente le condizioni economiche in cui sono state precipitate decine di migliaia di famiglie. A Roma alcuni docenti in attesa della «riffa» davanti al liceo Newton si sono spogliati denunciando una situazione drammatica per chi, in molti casi, ha superato i 50 anni e può vantarne una trentina di servizio. A Torino c'è stato un lungo sit-in, a Catania l'occupazione degli uffici del provveditorato, così come anche a Cagliari. E' nel Sud, infatti, che la dimensione dei tagli assume proporzioni da catastrofe sociale.
Ma non viene sottolineato solo l'aspetto occupazionale. L'espulsione di oltre 42.000 docenti e 15.000 Ata, infatti, non è dovuta a una diminuzione delle iscrizioni, ma al combinato disposto di diverse linee di intervento accomunate dall'unico scopo ufficiale del «risparmio». Quello non dichiarato, ci spiegano, è «la distruzione della scuola pubblica per favorire quella privata». Come fanno? Semplice: a) si riducono gli orari di lezione; b) si «abilitano» i docenti a insegnare più materie; c) si aumenta il numero degli studenti per classe (fino a 33-34, violando ogni buona pratica in materia di didattica e sicurezza); d) imponendo il «maestro unico» alle elementari. Nemmeno il turnover viene più rispettatO. nel migliore dei casi per ogni 8 che raggiungono la pensione viene nominato un solo docente di ruolo.
A fronte di un problema sociale e didattico enorme, il governo prova a dividere il fronte proponendo i «contratti di disponibilità», una sorta di ammortizzatore sociale vincolato però alla totale soggezione individuale del precario. Stamattina, al ministero dell'istruzione, si terrà un «tavolo tecnico» con alcuni sindacati per vedere di concretizzare questa misura. Fuori, su viale Trastevere, i coordinamenti dei precari e i sindacati aderenti al «patto di base» (Cobas, RdB-Cub e Sdl) terranno un sit-in per chiedere invece la «stabilizzazione» delle centinaia di migliaia di precari che da molti anni sono la vera stampella su cui regge il «normale» funzionamento della scuola pubblica.