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Manifesto: La scuola pluralista non ha bisogno di confessioni

Stupisce, ma non più di tanto, che la santa sede da un lato si sbracci perché vengano riconosciute le esigenze e i bisogni di una società pluralista e multiculturale e dall'altro ribadisca il suo «no» a qualsiasi ipotesi di insegnamento religioso multiconfessionale.

10/09/2009
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il manifesto

Iaia Vantaggiato
ROMA
Si fa presto a dire che la lettera inviata dalla Congregazione per l'educazione cattolica sia rivolta alle Conferenze episcopali di tutto il mondo e non solo all'Italia. Vero è, piuttosto, che quella lettera - datata 5 maggio ma diffusa solo ieri - bene si incardina nelle maglie del riconfermato idillio tra Vaticano e stato italiano. Un idillio che solo pochi giorni fa era stato incrinato proprio dalle prese di posizione della chiesa contro le politiche sull'immigrazione e il pacchetto sicurezza messo a punto dal governo.
Stupisce, ma non più di tanto, che la santa sede da un lato si sbracci perché vengano riconosciute le esigenze e i bisogni di una società pluralista e multiculturale e dall'altro ribadisca il suo «no» a qualsiasi ipotesi di insegnamento religioso multiconfessionale. «La nostra società è già pluralista - afferma Amos Luzzatto, ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane - e tuttavia non lo riconosce di fatto per ciò che concerne numerosi aspetti del suo ordinamento giuridico. Mi spiego: quando tutti facevano un pandemonio per la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, io ero più preoccupato per la modalità dell'insegnamento della religione cattolica, un insegnamento che comprende sì l'esenzione ma che di fatto non è facoltativo». E l'alternativa non è certo quella di prevedere - all'interno del sistema scolastico - un'ora di religione cattolica, una di religione ebraica, protestante, musulmana, induista o buddista.
Concorda il teologo valdese Daniele Garrone: «C'è poco da fare, il concordato quell'insegnamento lo prevede e a pagarlo è lo stato italiano, indipendentemente dal fatto che i governi siano di centro-destra o di centro-sinistra. La nostra nostra battaglia deve mirare piuttosto all'abolizione di un'ora confessionale, quale che sia la confessione professata».
Sulla specificità del caso italiano, si sofferma il caporedattore della rivista di dialogo interreligioso Confronti, Mostafa El Ayoubi: «La questione dell'ora di religione nel sistema scolastico pubblico italiano - un sistema che 'accoglie' circa 740mila studenti non cattolici - rappresenta un'anomalia che si traduce in una vera e propria discriminazione e che ha inizio sin dal primo giorno della scuola dell'infanzia. Tutto questo non può che essere controproducente ai fini dell'integrazione».
Ma è proprio dell'integrazione e dell'accoglienza che la chiesa si fa in questi giorni paladina. Non sarà una contraddizione? «La chiesa e il governo - commenta El Ayoubi - fanno a gara a scambiarsi 'avvertimenti'. E nel governo il lavoro sporco lo fanno fare alla Lega che minaccia la revisione del concordato al solo fine di impedire alla santa sede di immischiarsi nelle questioni relative all'immigrazione». Quindi la chiesa risponde. Prima attaccando Berlusconi e poi proponendogli la pace su un piatto d'argento: per andare daccordo basta solo che l'ora di religione abbia status di materia scolastica e che non sia multiconfessionale. E il ministro dell'istruzione - Maria Stella Gelmini - applaude.