Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Manifesto: «Le difficoltà in classe? Colpa del neoliberismo»

Manifesto: «Le difficoltà in classe? Colpa del neoliberismo»

Michel Rocard Ex premier socialista, ora «tecnico» per Sarkozy

18/09/2007
Decrease text size Increase text size
il manifesto

s. v.
Roma
«I nostri sistemi scolastici subiscono la crisi europea della politica». Così Michel Rocard, leader storico del Partito socialista francese. Oggi membro di una commissione incaricata di restituire prestigio al mestiere d'insegnante, l'ex primo ministro dell'era Mitterrand evita ogni tecnicismo e predilige la visione di sistema: «La crisi della scuola - afferma - è generale poiché parallela all'emarginazione della politica e al trionfo indiscusso del neo-liberismo». Un'emarginazione accelerata, secondo Rocard, dalla rapidità incontrollabile dell'economia globale. Unica soluzione: guardare più in là. «Se vogliamo comprendere i processi che regolano il mondo contemporaneo - sostiene - ma soprattutto, se vogliamo avere qualche presa su di essi, dobbiamo uscire dai limiti angusti degli stati-nazione. Le nostre scuole, per esempio, devono ampliare i loro programmi e promuovere la cittadinanza europea, come già sostenne Jacques Delors nel Libro bianco sulla scuola del 1993. Ma non basta, poiché l'insegnamento è solo un capitolo di una più profonda azione di sistema che avvenga almeno su scala continentale».
Abbandono scolastico, degrado, svalutazione del ruolo d'insegnante. Sono fenomeni che ricorrono po' ovunque. Perché?
Generalmente gli uomini politici tendono a trattare i problemi della scuola e dell'educazione con ottica miope, concentrandosi sui programmi e sugli aspetti strettamente pedagogici senza uno sguardo complessivo alle dinamiche di società. Da cui lo stupore per il ricorrere di fenomeni analoghi in vari paesi. Stupore che passa subito se ci si rende conto come paesi così diversi hanno società molto simili.
Quali sono le cause di questo degrado?
Dal 1945 al 1972 ndr] il nostro capitalismo ha vissuto un'epoca di stabilità, di assenza di crisi finanziarie e di pressocché ininterrotta piena occupazione. Da allora tutto è cambiato. In Occidente, la crescita economica è passata dal cinque al due-tre per cento. La disoccupazione si è attestata a una soglia del venti. Finché l'economia era regolata dalla legge e dalla politica, tutto è andato bene. Quando il neoliberismo si è imposto come ideologia dominante, quando la riduzione delle tasse è diventata argomento retorico di tutti, il sistema ha cominciato a degradarsi. Sono diminuiti i soldi a disposizione dei servizi pubblici e si è minimizzato il ruolo della politica nella regolamentazione dei fenomeni sociali. L'educazione rappresenta un capitolo di tutto questo degrado e, avendo subito drastici tagli di spesa, sta a dimosrare quanto poco investimento le nostre comunità intendano fare sul proprio futuro.
Esiste, tuttavia, il problema di un sapere che non riesce a stare al passo con i rapidi cambiamenti della tecnica.
È vero. Questa è un'altra della cause profonde della crisi. Ma si tratta di un problema che può essere risolto facilmente. Adeguando i programmi. Oppure allargando il raggio di competenza dei nostri centri formativi, preoccupandoci che i cittadini seguano corsi di aggiornamento durante tutto l'arco della loro vita. Ma ancora una volta, per fare tutto ciò ci vogliono risorse.
L'orizzonte nazionale dei programmmi scolastici europei non costituisce un altro limite?
Non c'è dubbio. La scuola europea si è sviluppata quasi ovunque con la crescita degli stati nazione alla fine dell'Ottocento. E, malgrado le varie riforme, è rimasta una macchina per sfornare bravi cittadini di ogni paese, ben integrati nella comunità di riferimento. Tutto questo oggi non basta più. L'ha scritto con intelligenza e tempestività Jacques Delors nel suo Libro bianco del 1993: per stare al passo con quanto succede nel mondo, per avere presa sui processi attualmente in atto, gli stati nazione pongono limiti troppo angusti. Anche i programmi scolastici dovrebbero adeguarsi.
Se gli stati nazione non bastano più, a quale dimensione fare riferimento?
Almeno all'Europa, cominciamo da questo. D'altronde internazionalismo ed esprit de systéme sono caratteristiche storiche della sinistra. Soltanto se si ampliano i nostri orizzonti e si mettono insieme le energie progressiste dei vari paesi si può sperare di avere presa su un fenomeno tanto rapido ed esteso come quello della globalizzazione. O come il riscaldamento climatico e il degrado ambientale, fenomeni che domandano, per essere risolti, di voltare pagina con il neoliberalismo.
Vuole dire che l'Europa è un'occasione per la sinistra?
Anche se questo argomento fatica a farsi strada, è l'unica occasione che la sinistra ha di non finire travolta dalla storia. E non solo. È l'unica occasione che hanno i cittadini di questo continente per veder sopravvivere idee antiche come democrazia e giustizia sociale. Per evitare la catastrofe ecologica e l'implosione del pianeta. E per restituire centralità alla cultura, ai principi della convivenza civile, alla scuola e all'educazione.