Manifesto: Mussi: «Piccoli espedienti utili per coprire i tagli»
«La vera riforma in corso è lo stop ai finanziamenti»
Eleonora Martini
Gongola Fabio Mussi, ministro dell'Università e della Ricerca nel 2006, durante il governo Prodi, ora che la sua creatura, allora tanto criticata dal centrodestra, l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario, diventa ora fiore all'occhiello dei suoi vecchi detrattori. Stesso progetto, «solo peggiorato un po'». Per il resto, il "pacchetto università" presentato ieri dal Consiglio dei ministri «è fuffa». «Un'improvvisazione», un «diversivo» per nascondere «l'unica sostanza: i tagli definitivi e generalizzati a tutto il sistema universitario e della ricerca».
Quanto assomiglia alla sua idea di riforma dell'università il decreto ministeriale presentato ieri dal governo?
La vera e unica riforma in corso è il taglio dei finanziamenti pubblici. Ho sempre considerato necessaria una strategia della qualità per riformare l'università italiana, ma è possibile solo a risorse crescenti. Questo è un punto che la destra non capisce ma purtroppo nemmeno parti importanti del centrosinistra l'hanno mai capito. L'Italia è in coda ai paesi Ocse non solo per i salari degli operai ma anche per il finanziamento dell'università e della ricerca in rapporto al Pil: siamo l'unico con un trend di riduzione. E nella classifica continuiamo a scendere. Due anni fa gli investimenti sull'istruzione accademica e sulla ricerca si fermavano allo 0,85% del Pil, ora credo che siamo scesi sotto lo 0,8% mentre la media degli altri paesi europei è 1,2%. Una percentuale che sale per gli altri paesi Ocse: negli Usa tocca addirittura il 2,6% del Pil, di cui metà sono finanziamenti pubblici, che per gli Stati uniti è una cifra sbalorditiva. Con il sottofinanziamento non c'è alcuna strategia che tenga, non c'è competizione, vengono esaltati i furbi e mortificati i migliori. Nel 2010 con i tagli di Tremonti l'università avrà perso un miliardo di euro, su sette miliardi di trasferimento pubblico. Questa è la politica del governo, questa è la sostanza. Il resto, in queste condizioni, è fuffa.
Dunque, un diversivo estivo per coprire i tagli?
Piccoli espedienti. Questa non è la necessaria politica dell'efficienza, della qualità, impossibile da praticare senza risorse sufficienti.
Ma l'Anvur, l'Agenzia di valutazione che adesso Gelmini tira fuori dal cilindro, è una sua creatura. Non è contento?
Certo, sono soddisfatto di aver portato a compimento il mio progetto anche se credo sia stato peggiorato in alcuni punti. Soddisfatto soprattutto perché quando arrivò questo nuovo governo venni subito attaccato dai ministri Brunetta e Gelmini proprio per l'Anvur. Mi accusarono di aver voluto un "carrozzone burocratico". In una trasmissione televisiva venni quasi insultato da Renato Brunetta, modesto docente universitario come risulta dai ranking delle agenzie di valutazione mondiali. Ma l'Anvur fu pensato dal nostro governo, guardando ad altre esperienze molto consolidate in Europa, come un organismo estremamente importante perché terzo, imparziale. Indipendente sia dai soggetti valutati che dal governo che distribuisce i fondi. La valutazione non può essere politica, mai. L'agenzia però è uno strumento che tornerà utile quando a Palazzo Chigi ci sarà di nuovo un governo serio.
Ridurre corsi inutili, premiare i migliori, sono buoni propositi, no?
I corsi sovrabbondanti sono già stati tagliati del 20% grazie ad un mio provvedimento che però realizzava l'obiettivo alzando gli standard richiesti. Premiare i migliori? Se mancano i soldi non premi nulla, devi solo distribuire la fame.
Secondo alcuni rettori questi criteri di valutazione non tengono conto del contesto socio-economico e finiscono così per penalizzare le università del Sud.
Nel mio provvedimento avevo tenuto conto di questo fattore che fu oggetto di un rapporto epistolare con Tommaso Padoa Schioppa. Le tasse di un ateneo di Torino non sono le stesse che a Catania, quindi l'università nelle zone di maggiore sviluppo economico è di per sé più ricca. Un governo che non valuta il contesto socio economico è di burattini. Oppure di leghisti.
Eppure esistono eccellenze anche al sud.
Assolutamente sì. Se l'università è pessima non può certo essere valutata con criteri socio-economici. L'ateneo di Messina, per esempio, va assolutamente riformato. E possibilmente cacciando via chi non merita di rimanere. Ma il problema oggi in Italia è la penuria di risorse, non le risorse sprecate. Io stesso dovetti minacciare più volte le dimissioni per difendere il minimo vitale. Anche perché l'obiettivo deve essere innalzare il livello di tutto il sistema italiano e non solo premiare le eccellenze.
Questo vuole apparire come il governo della meritocrazia e del virtuosismo...
Il merito va premiato ma noi non viviamo in una meritocrazia: viviamo in una democrazia. Nella nostra società devono trovare accoglienza tutti, anche i meno meritevoli, i meno capaci.
Cosa pensa della classifica degli atenei presentata dalla ministra? È un'improvvisazione: se non c'è ancora l'agenzia preposta chi l'ha stilata questa classifica?
Il Civr e il Cisvu, no?
Assolutamente no, sono organismi che non fanno valutazioni. Certamente non si estrae un ranking di quel tipo dal rapporto del Civr. Temo invece che sia frutto dell'arbitrio del ministero. Ed è assai poco credibile che possano essere stati valutati come migliori atenei italiani alcuni che risultano ai primi posti della classifica.
Un esempio?
Chieti mi suona strano. Non dimentichiamoci che il rettore, Franco Cuccurullo era presidente del Civr.