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Manifesto: Napoli, il ritmo dell'occupazione al Conservatorio

Gli studenti scoprono che le lauree brevi non valgono per i concorsi pubblici, e a Napoli scoppia la protesta. È un effetto della legge Moratti, ma Prodi non ha mai firmato il decreto per equiparare i titoli di studio

30/11/2007
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il manifesto

Francesca Pilla
Napoli

Il pianoforte di Martucci, quello di Rossomano, di Mercadante, di Thalberg, il fortepiano del 600, il cembalo di Caterina II di Russia, gli stradivari, i quadri e i busti sono stati tutti sigillati. «Questa è la nostra casa, una scuola museo, non ci possiamo permettere imprevisti». E' la prima occupazione per i ragazzi del conservatorio di Napoli, ma tutto funziona alla perfezione. Chi entra consegna il tesserino universitario ai compagni e lo ritira all'uscita; c'è l'assemblea pomeridiana, ci sono i «contras», c'è la rassegna stampa, il tabacco e i caffè, ci sono i baci e le carezze sotto la pioggia. C'è anche il manifesto, la politica. Studenti che protestano. Questa volta per uno «scherzo» del ministero dell'istruzione, un'assurdità all'italiana che li ha mandati su tutte le furie: i nuovi titoli di studio detti di primo e secondo livello accademico non sono validi per l'ammissione ai concorsi pubblici. Perché né Berlusconi prima, né Prodi adesso hanno dichiarato, con decreto, l'equipollenza tra i titoli di studio rilasciati ai sensi della legge 508/99 e quelli universitari.
La legge in questione è quella di riforma del settore approvata nel 1999, ma partita solo nel 2003 con il pacchetto Moratti, si tratta delle cosiddette lauree brevi introdotte anche al conservatorio. Non più dunque 7 lunghi anni di studio, ma appena due o tre per prendere il titolo e poi magari tuffarsi nell'insegnamento scolastico pubblico. I ragazzi ci hanno creduto buttando il vecchio per il nuovo, solo che quest'estate con le prime lauree hanno capito la beffa. La loro «carta» è solo un titolo artistico, un foglio che non vale niente né nel Belpaese né in Europa. «E' assurdo - spiega Roberto Armucinio, fuorisede sassofonista - ho fatto cinque anni, due con il vecchio ordinamento, tre con il nuovo, ho speso 1800 euro l'anno e alla fine stavo per essere truffato. Quando me ne sono reso conto ho chiesto al rettore di ripassare al mio piano di studi originario, ho dato due esami, rifatto la tesi e solo ora ho accesso alle graduatorie».
Il rettore Vincenzo De Gregorio ha dovuto fare lo stesso con decine di studenti per ovviare al «danno», ma appare una prassi tutt'altro che appropriata, ne è consapevole e per questo appoggia, assieme al corpo docenti, l'agitazione dei ragazzi. De Gregorio però ha presentato comunque denuncia alla polizia per l'occupazione dei locali di San Pietro a Majella perché come museo è sottoposto alla tutela di tre soprintendenze. I palazzi del Regio conservatorio di musica, infatti, risalgono al 500. «Facciamo il possibile per controllare questo patrimonio - spiega Carla Orbinati, presidente della consulta studentesca del conservatorio - ma non potevamo fare altrimenti, con questi titoli di studio possiamo solo tornare a casa a fare le lavandaie. Anche io per tre anni ho studiato pianoforte e composizione ora mi ritrovo con niente in mano».
I ragazzi sono decisi a continuare l'occupazione a oltranza fin quando Prodi non firmerà: «Speriamo solo che gli altri conservatori del paese facciano come noi, si sveglino e comprendano la truffa - dice Francesco Calzoraro, che con i suoi occhialini potrebbe sembrare il compositore Bruno Martelli del film Saranno Famosi, anche se suona il clarinetto. A metà tra un gruppo no global e un'orchestra sinfonica, i ragazzi sono decisi a non mollare e ieri sera hanno fatto saltare anche il concerto previsto per il bicentenario della fondazione. Tra loro ci sono anche giovani emergenti come Giovanni Maria Block, che ha vinto il premio Tenco di quest'anno. La protesta unisce: «Siamo tutti nella stessa condizione», spiega Pasquale Benincasa, un altro dei gabbati. Anche lui laureato la scorsa primavera in percussioni, solo dopo qualche mese dopo la festa di laurea si è reso conto che non avrebbe mai avuto accesso alle graduatorie per le scuole pubbliche. «Ho dato gli esami che mi mancavano - continua Pasquale - ma sono in fondo alla lista, ho ottenuto solo l'accesso alla graduatoria, niente crediti». E' vero, con il titolo puoi lavorare negli istituti privati o metterti in proprio con le lezioni a pagamento, ma è una fregatura perché lo facevano tutti già prima: «La verità - conclude Carla - è che l'unica equiparazione con il sistema universitario consiste nell'entità delle tasse di iscrizione».