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Manifesto: Nelle classifiche internazionali l'Italia salvata da scuola e sanità

Nel rapporto del Wef l'Italia in 48esima posizione. L'Ocse: investire sull'istruzione è l'unico modo «per uscire dalla recessione»

10/09/2009
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il manifesto

ROMA

Ventiseiesima posizione. Non è tanto, ma non è neanche poco: anzi, è una delle posizioni che evita l'affossamento dell'Italia nella classifica stilata dal World economic forum sulla competitività. E questi pilastri si chiamano istruzione e sanità. Come ogni anno il Wef - quelli di Davos, un'organizzazione ancora affezionata alla lente del neoliberismo - mette in fila tutti i paesi del mondo e li analizza valutando diversi fattori. I «pilastri» individuati sono sei (ad esempio le infrastrutture o l'efficienza del mercato del lavoro), ciascuno dei quali è diviso in diversi capitoli. Quest'anno sulla classifica internazionale pesa come un macigno la crisi finanziaria, che peggiora la performance di alcuni paesi ancora annoverati nella top ten, come il Regno Unito. L'Italia, invece, migliora di una posizione - passa dal quarantottesimo posto al quarantasettesimo - e ciò che la salva è la tenuta del suo grande mercato interno. Per il resto il paese rimane l'ultimo del G7, e secondo l'analisi del Wef a frenarne irrimediabilmente la competitività sono elementi come l'eccessiva rigidità del mercato del lavoro (cosa che viene rimproverata anche a Francia e Spagna - sempre per rimanere in ambito europeo - che però volano rispetto al Belpaese) e aspetti culturali e sociali, come la scarsa fiducia nei confronti dei rappresentanti politici, la presenza di corruzione e crimine organizzato. Ma tra le buone performance italiane tengono ancora due fattori: una è la scuola, e l'altra è la sanità. Questo pilastro, il quarto, è l'unico a segnare otto pallini blu (una specie di promozione) su undici punti. L'altro «pilastro» che fa onore al paese è la «business sophistication», cioè la capacità espressa dal sistema delle imprese che guadagna sette «promozioni» su nove.
Allo stesso modo nell'annuale rapporto dell'Ocse «Education at a glance 2009» si dice che investire nell'istruzione è un mezzo per lottare contro la recessione e accrescere i futuri redditi. Tant'è che l'organizzazione raccomanda ai governi di tenere conto di questa tendenza quando elaborano le loro strategie in materia di scuola. «Il periodo che seguirà la crisi mondiale sarà caratterizzato da una domanda senza precedenti per la formazione universitaria», ha dichiarato il segretario generale dell'Ocse Angel Gurrma, aggiungendo che «gli investimenti in capitale umano contribuiranno alla ripresa a condizione che le istituzioni scolastiche siano in grado di rispondere a questa domanda».
Come dire, in Italia tira un'altra aria: «In Italia si fanno scelte diverse, tagliando 8 miliardi di euro e 140 mila posti di lavoro nella scuola, 1,5 miliardi nell'Università e ridimensionando i progetti di ricerca - ha detto il segretario nazionale della Cgil scuola, Mimmo Pantaleo - Il rapporto dovrebbe consigliare un radicale cambiamento rispetto alla scelta di distruggere la scuola pubblica, di privatizzare e mercificare i saperi».
Ma è chiaro che le grandi organizzazioni economiche internazionali mettono in campo criteri che sono armi a doppio taglio. L'Ocse, ad esempio sottolinea che i ragazzi italiani passano troppo tempo a scuola (8 mila ore rispetto a una media di 7 mila nei paesi Ocse) senza raggiungere risultati sufficienti nei test internazionali. Un'osservazione che non tiene conto della particolarità della scuola pubblica italiana in cui si tende (tagli permettendo) di tenere i ragazzi a scuola il più possibile, arricchendo l'offerta anche di proposte «extracurriculum». Così come il Wef critica l'eccessiva spesa pubblica per l'istruzione, la qualità dell'istruzione secondaria e la formazione del personale.