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Manifesto-Non si può parlare per slogan

Non si può parlare per slogan Cari direttori, inizio a sentirmi a disagio in un dibattito in cui, per essere legittimati a intervenire, si è costretti a ogni pié sospinto a reiterare dichiara...

30/09/2005
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il manifesto

Non si può parlare per slogan

Cari direttori, inizio a sentirmi a disagio in un dibattito in cui, per essere legittimati a intervenire, si è costretti a ogni pié sospinto a reiterare dichiarazioni di principio che sempre più assomigliano alla formulazione di un "credo". E però, giusto per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, faccio anch'io la mia brava professione di fede, ribadendo che è mio fermo convincimento che la legge Moratti vada abrogata, dal momento che è proprio la sua impalcatura ideologica, la sua visione del mondo, che è un attacco all'eguaglianza dei diritti e della democrazia. E senza democrazia si torna indietro. Ma posso dire che non basta abrogare, se non si mette mano a un progetto comune che torni a parlare di politiche pubbliche, del valore della risorsa istruzione, di investimenti, e che ragioni di una scuola di qualità per tutti? Se non si concordano idee e proposte, e non solo tra partiti, ma con quel vasto popolo della scuola, che può indicare, bisogni urgenze e prospettive e che in questi anni lo ha fatto? Allora, per andare in ordine. È vero che la Conferenza unificata stato-regioni ha bloccato l'applicazione del decreto sul secondo ciclo dell'istruzione, ed è vero che questo è un gran risultato. Ma è altrettanto vero che in sede di dibattito nelle commissioni di Camera e Senato i parlamentari della maggioranza hanno espresso la volontà di tornare a prevedere il decollo della riforma già a partire dall'anno scolastico 2006/07 e di ripristinare l'avvio della sperimentazione. E c'è un punto che, purtroppo, bisogna sempre tenere a mente: hanno i numeri per poterlo fare. La partita, perciò, non è chiusa. E c'è un nodo che non si può eludere: l'idea - che viene da lontano - dei percorsi differenziati e separati e della canalizzazione precoce. Idea che va con forza contrastata e sulla quale bisogna fare chiarezza da subito. Alla responsabilità di esprimersi su questo punto chiamava l'articolo di Iaia Vantaggiato. In secondo luogo, dal mio punto di vista l'abrogazione della riforma Moratti non può e non deve significare il ritorno allo stato di cose precedente. La scuola ha bisogno di cambiare, di rinnovarsi, di guardare al futuro. E per far sì che questo avvenga occorre che ci sia la volontà e la disponibilità di lavorare tutti insieme, di concerto, su obiettivi comuni. Ma occorre anche sapere che questi anni di "fermo biologico" hanno provocato e continueranno a provocare nel tempo dei danni incalcolabili. Basti pensare ai genitori che, a fronte della volontà di liceizzare e ridimensionare l'istruzione tecnica e professionale, dirottano i propri figli verso l'istruzione liceale, quella canonica, per così dire. La conseguenza è che un'intera generazione (se non intere generazioni) perde la possibilità di acquisire quei saperi, quelle professionalità e quelle competenze di cui il nostro paese ha, invece, bisogno. Infine, credo che sia opportuno che maturi una nuova consapevolezza, con la quale devono confrontarsi e fare i conti tutti coloro che vogliano intervenire in questa materia: insomma, sono in atto dei processi che stanno andando avanti, che lo si voglia o no. Processi che sono anche slegati dagli interventi legislativi (anche se è pur vero che là dove non sono causati direttamente dai provvedimenti di questo governo, sono perlomeno agevolati dal vuoto lasciato dalla politica). Rispetto a questo stato di cose, non è più possibile continuare a parlare per slogan. Il paese sta conoscendo una situazione drammatica, che fra l'altro non riguarda solo l'istruzione pubblica. E allora, voglio provare a porre una questione. Per fare una riforma del sistema scolastico non basta che ci sia una maggioranza parlamentare che la voti. Abbiamo potuto constatare in questi anni che per questa strada non si va avanti. Una riforma che voglia essere veramente tale deve coinvolgere, deve poter parlare al cuore e alla testa di chi poi sarà chiamato a "viverla". E allora, c'è bisogno di condivisione, c'è bisogno di un confronto il più ampio e plurale possibile. Non sto parlando di accordi bipartisan o peggio ancora di inciuci sul tema della scuola. Non sto proponendo formule politiche (larghe intese, maggioranze trasversali, e via dicendo). Sto solo ricordando che le riforme che in questo paese hanno veramente funzionato sono quelle che hanno visto la convergenza e l'incontro di forze culturali, politiche, sociali e anche religiose di diversa estrazione. Forze diverse che hanno potuto e saputo incontrarsi all'interno di un terreno comune, delineato da valori, idee e principi condivisi. Quei principi che rappresentano il patrimonio storico della nostra democrazia. Credo che sia ora di finirla con un dibattito in cui ognuno sembra avere la verità in tasca. Credo che tutti noi dobbiamo farci carico della responsabilità che ci deriva dalla consapevolezza che abbiamo a che fare con questioni decisive per il futuro della scuola e delle nuove generazioni. E se non temessi di essere retorica, aggiungerei anche per il futuro del paese.
Alba Sasso

Lettera aperta