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Manifesto: «Non uno di meno» contro l'emergenza scuola

Alba Sasso

03/11/2006
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il manifesto

Alba Sasso *

Mi sgomenta l'ideologismo ostinato degli articoli che sono apparsi in questi ultimi giorni su scuola e università. E allora vorrei provare a fare qualche osservazione che spero utile alla riflessione comune.
Prima questione, i dati Ocse relativi alla seconda rilevazione Pisa (Programme for International Student Assessment).
Si tratta di una rilevazione periodica (ogni tre anni) delle competenze dei quindicenni scolarizzati nei paesi industrializzati, su capacità di comprensione della lettura, competenza matematica e quella scientifica. Ognuno di questi elementi è di volta in volta asse centrale della ricerca. Nell'ultima rilevazione, quella relativa al 2003, di cui tanto si parla in questi giorni, oggetto centrale è la competenza matematica e oggetti collaterali le altre due competenze. La prossima rilevazione(2006) avrà come oggetto centrale la competenza scientifica e così via.
Dico queste cose in maniera un po' pedante, e me ne scuso, per chiarire in primo luogo a me stessa che i dati Ocse 2003 non denunciano lo sfascio della scuola italiana ma un suo grande problema. Sicuramente grave. E assai più grave oggi, di quanto non lo fosse ai tempi di Gentile. La scarsa competenza matematica dei nostri quindicenni. Che vediamo confermata anche dalla scarsa propensione dei nostri studenti a iscriversi a facoltà come matematica o fisica.
E sicuramente questo è un dato che va contrastato e combattuto se vogliamo rispettare l'agenda di Lisbona, soprattutto nell'impegno ad aumentare le lauree tecnico-scientifiche.
Ma poiché la differenza di risultati tra gli alunni è forte soprattutto tra le diverse aree geografiche, lo dico in soldoni, meglio i ragazzi del nord di quelli del sud, si tratta solo di responsabilità degli insegnanti (che sono prevalentemente meridionali anche al nord) o si tratta di attivare politiche scolastiche che tentino di ridurre i dati negativi? A questo servono i dati Pisa, questo fanno tutti gli altri paesi europei quando li leggono.
In Italia, dove l'ignoranza sui fatti della scuola è un fatto veramente patologico e fastidioso, si comincia «a dare di matto» e a perdere di vista il cuore del problema. Che è e continua ad essere la mancanza di un forte asse tecnico scientifico nella nostra scuola - così come nella cultura della società italiana. Che è e continua ad essere l'assenza di un nuovo e moderno progetto culturale della scuola dai tre ai sedici anni. Che è e continua ad essere la necessità di sostenere la scuola soprattutto nelle situazioni in cui è più debole anche per la debolezza del contesto sociale in cui si trova. Questo sempre che si consideri ancora un valore la scuola «del non uno di meno». Quel valore che sta facendo crescere il Pil di paesi come India e Cina.
Seconda questione, ricette e rimedi.
In questo stesso dibattito si intrecciano ricette e rimedi. Abbiamo passato un'estate a ribadire che il rapporto docenti-alunni, basso rispetto all'Europa, dipende da tanti fattori. Lo ha ripetuto lo stesso ministro Fioroni sul Corriere della sera e Pietro Folena sull'Unità (31 ottobre). E non c'è molto da aggiungere.
La cosa che mi preoccupa in questa furia liberista del dibattito è che si attacchino alla fin fine le scelte (quelle fatte e quelle da fare) che intendono dar forza e qualità alla nostra scuola. E' zavorra assistenzialistica l'integrazione dei soggetti «diversamente abili»? O l'integrazione dei bambini migranti? Si abbia il coraggio di dirlo e di affrontarne le conseguenze umane e sociali. E ancora. Io sono convinta che in Europa, quella del sapere e della conoscenza, ci si entri a pieno titolo, certo riducendo il debito, ma soprattutto puntando sull'espansione della scolarità (lo spreco vero della scuola italiana è «i ragazzi che perde») e sulla moltiplicazione degli istituti di apprendimento per la popolazione adulta. I cui livelli di istruzione sono un'emergenza vera. Allora il tempo pieno, il tempo prolungato, l'elevamento dell'obbligo scolastico sono scelte che forse costano, come costa costruire un efficace sistema di formazione degli adulti o un efficace, e legato al mondo del lavoro, sistema di formazione tecnica superiore. Ma sono scelte ineludibili e che l'Europa ha già fatto e da tempo. A meno che non si pensi che basti un terzo di popolazione istruita per andare avanti. Insomma io credo che la politica scolastica del governo Prodi, anche nelle misure di questa finanziaria, debba rovesciare l'idea retrograda e anche un po' reazionaria che l'istruzione serva a selezionare e a mandare avanti un'élite, dando solo un'infarinatura di cultura a tutti gli altri. Idea che ha tenuto campo nelle scelte di politica scolastica degli ultimi anni e che viene enfatizzata e sostenuta anche dal dibattito giornalistico di questi giorni.
Terza questione, docenti e precari.
Del superamento del precariato nella scuola si parlava a chiare lettere nel programma dell'Unione. Ha ragione il ministro Fioroni quando afferma (Corriere della sera, 31 ottobre) a proposito delle immissioni in ruolo : «Non stiamo sistemando parcheggiatori abusivi ma ridando dignità e certezze a insegnanti che hanno superato concorsi e che pagano i ritardi degli anni scorsi».
E che pagano scelte di fondo, come quella di aumentare le aree di lavoro irregolare anche nella scuola. Il 33 per cento di lavoro precario nella scuola è dato ormai patologico, che crea incertezze e insicurezze nel lavoro di tanti ma che è soprattutto un limite al diritto a un apprendimento di qualità di tante studentesse e studenti.
Nell'esercito dei precari ci sono i giovani che hanno frequentato le scuole di specializzazione universitaria, ci sono quelli che hanno vinto concorsi per i quali non c'erano i posti, ci sono coloro che sono entrati nella scuola negli anni di chiusura dell'accesso ai ruoli, e che nella scuola già lavorano da tempo, con l'umiliante condizione di essere licenziati a giugno e riassunti a settembre. Perciò non si stanno promuovendo allegre assunzioni di massa di fannulloni un po' vecchi e un po' impreparati, ma si sta avviando una politica - a partire dall'immissione in ruolo di «almeno» 150 mila docenti precari nei prossimi tre anni - di reclutamento che non perpetui l'emergenza. E che dia certezze a studenti e insegnanti. E' una sfida difficile che occorre giocare, se si ha a cuore la qualità del sistema ma insieme la dignità della vita delle persone.
Certo bisogna guardare avanti, certo bisogna ripensare all'intera disciplina della formazione e del reclutamento, certo bisogna pensare a un efficace sistema di valutazione della scuola, capace in primo luogo di orientare e riorientare le scelte di politica scolastica. Ma tutto questo non può essere fatto in una logica punitiva, confondendo effetti con cause, rimettendo in discussione diritti acquisiti, dileggiando lavoro e legittime aspirazioni e speranze di tanti.
Dopo tanti anni di dibattito ho anch'io un sogno: una discussione vera sulla scuola, come fatta in Francia e in Spagna, attenta e serena e che sappia mettere da parte rabbie e pregiudizi. E che sappia promuovere scelte conseguenti. Ce la faremo?

* vicepr. Commiss. cultura Camera deputati