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Manifesto: Oggi il governo rifà i conti

Prodi: «No scontro coi sindacati»

20/05/2007
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il manifesto

Vertice intimo a palazzo Chigi del premier, D'Alema, Rutelli, con Padoa Schioppa sul «tesoretto»

Carla Casalini

Si concluderà a tavola attorno al «tesoretto», il vertice di governo a palazzo Chigi che questa sera discuterà della 'politica economica': vuol dire pensioni, contratto del pubblico impiego, 'competitività' del lavoro e diritti sociali, ossia tutti i temi del confronto con i sindacati che il governo pensa di liquidare con pochi soldi, due miliardi e mezzo in tutto. Come dire: che lo scannatoio 'competitivo' inizi. Ma a riscaldare il tavolo saranno i temi più bollenti, lo scontro sulla vertenza di statli e insegnanti, e la «riforma della previdenza».
In realtà il vertice, convocato alle 19, si risolverà in un separé, una cena intima , solo Romano Prodi e il suoi scudiere, il sottosegretario Letta, più i vicepremier D'Alema e Rutelli, faccia a faccia col ministro dell'Economia Padoa Schioppa. «Non è escluso», prevedono i ben informati, che la serata via via si allarghi ad altri partecipanti, il viceministro Visco, per esempio. Ufficialmente, sarà Prodi, «in seguito», a discuterne con gli altri ministri e con le «parti sociali».
I sindacati si premurano di inviare il proprio messaggio alla cena: «Non faremo un passo indietro», avverte il segretario della Cgil Guglielmo Epifani: sul rinnovo del contratto pubblico l'aumento di «101 euro», frutto dell'intesa precedente con il governo, e già illustrato nelle assemblee, resta soglia invalicabile. Il leader della Cgil allarga alla politica il suo messaggio (affidato a un'intervista su Repubblica), sostenendo di credere «nella buona fede » di Prodi, e non lesinando frecciate alla «rigidità» di Padoa Schioppa.
Anche Romano Prodi ha concesso una 'anticipazione' tranquillizzante, prontamente raccolta ieri dai telegiornali della sera.
«Non ho nessun desiderio di andare allo scontro», ha scandito il premier, «ci sono impegni cui dobbiamo e vogliamo far fronte, e come sempre in questi casi, dobbiamo discuterne», ma «certamente anche le ragioni dei dipendenti pubblici devono essere tenute in seria considerazione». Nulla andrà così liscio come Prodi promette, ma è certo che per il contratto del pubblico impiego ci sono più forze che nella maggioranza fanno il tifo: il ministro Mastella, per l'Udeur, si è augurato «un accordo»; e dalla Margherita francesco Rutelli - scopertosi improvvisamente, a differenza di altre volte, campione di democrazia sugli «statali», e soprattutto in una vigilia di elezioni amministrative - ha contestato Prodi che aveva definito «un ricatto» lo sciopero annunciato dai sindacati del pubblico impiego, sostenendo: «No, lo sciopero è un giusto strumento democratico».
Va detto che alla filiera 'politica' di sostegno, va ad aggiungersi in campo sindacale anche la Cisl - particolarmente sensibile ai suoi tesserati nel pubblico impiego - irrobustendo la battaglia di tutto il mondo sindacale per il rinbnovo del contratto. Mentre la stessa Cisl sembra meno decisa per quanto riguarda le pensioni, l'abolizione dello 'scalone' del precedente governo di centrodestra che non solo prevede di innalzare la possibilità di andare in pensione da lavoro, dal 2008, solo a 60 anni o con 40 anni di contributi, ma costringe tutti coloro che si trovano a «regime contributivo» dopo la riforma Dini del '95, ossia giovani e donne, a potersene andare dal lavoro obbligatoriamente ancor più in là. Si tratterà di vedere se gli scioperi «sulle pensioni», che sono già iniziati nelle fabbriche a partire da Mirafiori, e che continueranno nel fitto programma di «assemblee» in corso, scartabellerà anche lo stagnante programma dei vertici sindacali.
Ma resta, in premessa a ogni ragionamento del governo, quelle «compatibilità economiche» che Prodi ribadisce, d'accordo con Padoa Schioppa, come limiti invalicabili. Invalicabili perchè? Rifondazione comunista ha ribaltato i calcoli del governo sul «tesoretto» - ossia l'extragettito di 10 miliardi di cui se ne destinano solo due e mezzo per contratti, pensioni, welfare. I vincoli di Maastricht infatti non impongono questa ripatizione: perciò si possono destinare 7 miliardi e mezzo al complesso dei diritti sociali, e solo 2,5 al ripiano del «deficit».
Per i sindacati il problema è in premessa: perché accettare che si parta dai soldi per restringere i «diritti sociali», invece che partire dalle necessità sociali per definire quanti soldi occorrono?