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Manifesto: Piccole pratiche terapeutiche a uso di insegnanti e studenti

Insegnanti affaticati, allievi «difficili», riforme a pioggia. Ma soprattutto, come scrive Pennac nel suo ultimo libro, la necessità sempre più urgente di una scuola che insegni a imparare e a vivere insieme agli altri

01/06/2008
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il manifesto

Insegnanti affaticati, allievi «difficili», riforme a pioggia. Ma soprattutto, come scrive Pennac nel suo ultimo libro, la necessità sempre più urgente di una scuola che insegni a imparare e a vivere insieme agli altri Dal «Diario di scuola» di Daniel Pennac alle analisi di Vittorio Campione e di Silvano Tagliagambe nel saggio «Saper fare scuola», un sentiero di lettura su un tema insieme discusso e trascurato

Giuseppe Caliceti
Finisce pigramente un altro anno di scuola con tutto il suo rituale di canti, danze, gite scolastiche, scrutini, feste di fine anno. E, tanto per cambiare, un nuovo ministro dell'Istruzione: perché i docenti non si dimentichino mai che la scuola è certo uno dei lavori più belli, impegnativi, ma soprattutto più precari e scivolosi del mondo. Basti pensare a quanti ministri si sono succeduti nell'arco degli ultimi vent'anni, a quante riforme o controriforme si sono avvicendate, con quante diverse schede di valutazione hanno dovuto fare i conti alunni e studenti.
Modelli anglosassoni
L'occasione è comunque buona per parlare di tre libri assai differenti sulla scuola. Il primo, Saper fare scuola: il triangolo che non c'è di Vittorio Campione e Silvano Tagliagambe è una raccolta di saggi pubblicata di recente da Einaudi (pp. 264, euro 20) che si inserisce nell'eterno dibattito sulla scuola - da una parte prendendo avvio dall'analisi dei risultati acquisiti dalla ricerca internazionale sui processi di apprendimento, dall'altra riflettendo su quelle che vengono definite «le migliori esperienze di insegnamento in atto» insieme all'«esame dei processi organizzativi degli indirizzi politici che governano il sistema educativo».
Si sente che il libro - che sfodera una ricca bibliografia di riferimento, documentazione - è scritto da un segretario del ministero della Pubblica istruzione dal 1996 al 2000, attualmente consulente di diversi enti pubblici e società private (Campione) e da un professore di filosofia della scienza che ha fatto parte delle commissioni istituite dal ministero della Pubblica istruzione per la riforma dei cicli scolastici e l'individuazione dei saperi essenziali nel 1997-98 e nel 2001 (Tagliagambe). Si tratta infatti di un testo rivolto essenzialmente agli «addetti ai lavori» (presidi, dirigenti scolastici, docenti che aspirano a una carriera scolastica dirigenziale), in cui si parla vagamente dei bambini e dei giovani di oggi e della «trincea» che rappresenta la scuola pubblica italiana di oggi.
Gli autori individuano un avversario, la docente e scrittrice Paola Mastracola, autrice fra l'altro di un racconto-riflessione, La scuola raccontata al mio cane, e di romanzi di ambiente scolastico (La gallina volante, Una barca nel bosco), che viene - spesso giustamente - accusata di retorica pedagogica, affratellanza con «l'ideologia dominante» e «alla moda» sulla scuola.
Campione e Tagliagambe hanno il merito di provare a analizzare l'istituzione scolastica italiana in modo complesso e non superficiale, non sensazionalistico. Difendono la strada intrapresa dal ministro Berlinguer nel 1997, l'inizio del «cambiamento di impianto gestionale», l'apertura alle nuove tecnologie. E spiegano anche come una società a forte innervatura tecnologica sta continuando a minare in profondità la scuola. Il modello che sembrano proporre è, sostanzialmente, quello anglosassone. Con i suoi pregi e i suoi difetti.
Parte da una angolazione diversa un saggio a più voci uscito qualche tempo fa, Scuola di follia (Armando, pp. 288, euro 24), a cura di Vittorio Lodolo D'Oria, medico ematologo ed esperto di comunicazione e marketing nella sanità, che dal 1988 si occupa del disagio mentale del cosiddetto «corpo docente» italiano. Ennesimo grido d'allarme su una scuola in cui si investe sempre meno, e su un paese che dunque investe sempre meno sul proprio futuro, il libro offre un ritratto del docente italiano sempre più solo e reietto, stremato, basandosi su una paziente e scrupolosa raccolta di storie vere, testimonianze, contributi professionali, studi scientifici e documenti istituzionali.
Lodolo D'Oria suggerisce alcune interessanti proposte di intervento in questo tragico teatrino scolastico che va quotidianamente in scena davanti a studenti e alunni, nel tentativo di contrastare l'inesorabile crescita, negli ultimi anni, del disagio mentale tra gli insegnanti e di un uso sempre più massiccio da parte loro di psicofarmaci.
A parte l'enfasi su alcuni casi-limite (di cui peraltro in questi anni giornalisti e politici si sono occupati ben più che di didattica o pedagogia), il libro raffigura una scuola italiana profondamente sofferente, ma che possiede ancora possibilità di recupero. Anche se l'Italia - come lo stesso autore sottolinea - è uno dei paesi occidentali che investe sempre meno nella scuola pubblica e nella formazione e nelle ottimali condizioni di lavoro dei docenti, con tutti i rischi che questo comporta, in particolare per i più giovani, in un clima di indifferenza diffusa.
Un ex somaro in cattedra
Per ritrovare un po' di speranza prima che l'anno scolastico finisca, è consigliabile semmai leggere il Diario di scuola dell'ex maestro elementare francese Daniel Pennac (Feltrinelli, pp. 241, euro 16). Forse non è uno dei testi migliori dello scrittore francese, nel suo agile saltabeccare da una parte all'altra, ma è scritto con la consueta onestà e autoironia ed è pieno di idee e intuizioni. Il grande tema della scuola è visto qui soprattutto dall'ottica degli alunni, di chi cioè la scuola spesso la subisce. In particolare dagli alunni più scarsi: i «somari», i bambini/ragazzi «difficili», come si sente dire sempre più spesso, quelli che vanno peggio, come è stato a suo tempo il caso dello stesso autore/scrittore.
Il Diario alterna riflessioni e ricordi divertenti sul Pennac «alunno somaro» con racconti di episodi accaduti al Pennac insegnante, pagine autobiografiche con altre di pedagogia e didattica spiegata con efficacia e semplicità. Racconta delle universali - quasi naturali, sembrerebbe - disfunzioni dell'istituto scolastico, senza per questo cadere nel catastrofismo. Del ruolo decisivo della famiglia. Della necessità sempre più urgente di una scuola che abbia come sua prima materia quella dell'insegnare a imparare e a vivere con tolleranza insieme agli altri.