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Manifesto: Più difficile per gli studenti «extracomunitari»

Epifanio e Cheng Alle prese con la burocrazia, inventando vie traverse per farcela Sguardo dall'Italia Studenti, sì, ma son pur sempre «immigrati», il ministero li vede «rischiosi»

18/12/2006
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il manifesto

Roma
C'è la questione del visto. Perché gli stranieri - studenti e ricercatori - sono pur sempre «immigrati». Fuori dall'ombrello protettivo delle formule approntate per i giovani europei, c'è infatti la moltitudine di chi arriva qui dal resto del mondo, per studiare. Visto dall'Italia, ci sono le circolari del ministero dell'Università e della Ricerca sui visti da concedere agli studenti extracomunitari dove si parla esplicitamente di «rischio migratorio». Dunque, fatti salvi protocolli, progetti ad hoc, e accordi tra paesi, uno studente, metti caso africano, che vuole venire a studiare in un'università italiana deve mettersi in fila all'ambasciata, sapere quanti visti per quell'anno verranno concessi, e portare tutti i documenti (tanti) oltre a superare un esame di lingua.
Ma la trafila può incepparsi in ogni passaggio, e allora è solo l'inventiva nel rintracciare sentieri traversi che può salvarti. Così Epifanio Moreira, studente di medicina del quarto anno all'università di Roma La Sapienza, dopo aver tentato per tre anni di aggiudicarsi un visto, è passato per il Portogallo. «Il problema con l'Italia è anche che ci sono molte difficoltà per certificare l'equivalenza dei diplomi, e una serie di ostacoli come la necessità di dimostrare una garanzia economica e più in generale, se devo essere sincero, è proprio difficile già avere informazioni su cosa serve e cosa no». Così alla fine ha scritto all'Istituto di cultura italiana portoghese (la Guinea Bissau è un'ex colonia portoghese, ndr) spiegando che voleva frequentare una facoltà di medicina in Italia: «e loro mi hanno aiutato, tutto questo anche grazie ai consigli di una suora che lavora nella mia città».
Poi c'è il problema della lingua. All'estero l'italiano non è molto praticato, il che fa salire alle stelle le quotazioni delle università inglesi o francesi, piuttosto che quelle italiane. E ancora: c'è il problema dei servizi.
Han Chen, dottorando in giurisprudenza a Tor Vergata, lo dice chiaramente: «Sì, tutti parlano dell'importanza di stabilire scambi culturali con il mio paese. Ma la questione è che la vita in Cina costa molto meno che in Italia. E per uno studente straniero che viene a studiare qui la prima spesa diventa la casa, perché gli affitti sono molto alti e qui non esiste il modello del campus, che invece viene utilizzato in altri paesi europei o negli Stati uniti». Chen è arrivato in Italia grazie a un «filo diretto» tra l'Università di Pechino e Tor Vergata, ma nonostante questo è stato vittima della burocrazia: «Siccome ho avuto problemi a ottenere il visto, ho saltato l'appuntamento per l'esame scritto. Per fortuna l'università mi è venuta incontro, ha valutato i miei titoli, ho passato l'esame orale, e sono riuscito a vincere il concorso».
Han Chen ha studiato italiano a Pechino («ma lo fanno in pochissimi, che ti devo dire, duecento persone») e poi si è potuto perfezionare all'università degli stranieri di Siena prima di sostenere l'esame di idoneità linguistica. Ma dell'università italiana in Cina ricorda questo: «E' praticamente sconosciuta. Le università inglesi e francesi fanno tantissima pubblicità, anche sui giornali, organizzano seminari, insomma, si fanno vedere. Hanno anche messo in piedi, da diversi anni, agenzie che aiutano gli studenti a sbrigare tutte le pratiche burocratiche. L'Italia sta cominciando a muoversi solo ora». Per esempio con il Progetto Marco Polo (nato da un protocollo tra la Conferenza dei rettori e la Confindustria) che si prefigge di portare duemila studenti cinesi negli atenei italiani a partire da questo anno accademico.
Ma al di là di questi progetti estemporanei, rivolti a specifici paesi considerati interessanti anche sotto il profilo delle relazioni economiche - il Miur e l'omologo ministero indiano hanno siglato nel 2005 un accordo per finanziare borse di studio per 100 ricercatori indiani - l'Italia continua a essere il fanalino di coda nei paesi Ocse. Negli ultimi cinque anni la tendenza è in costante crescita: gli studenti stranieri immatricolati hanno raggiunto il 2,64 per cento, poi il 2,71 per cento, e nell'ultimo anno sono cresciuti ancora. Tuttavia, se la media di studenti stranieri nei paesi Ocse nel 2003 (ultimi dati disponibili) era del 6,4%, in Italia risultava dell'1,9%. Qual è il problema?
Pietro Lucisano, prorettore agli studenti della Sapienza (secondo ateneo italiano per numero di studenti stranieri iscritti, il primo è Bologna), spiega che il problema è essenzialmente uno: l'accoglienza. «Mancano politiche per la residenzialità - spiega Lucisano - un problema che riguarda tutti gli studenti, ma che per un non comunitario è più pesante. Un altro problema è la possibilità di accedere alle informazioni: quest'anno abbiamo attivato uno sportello apposito per gli studenti stranieri, e dallo scorso anno riserviamo una parte delle borse di collaborazione proprio a loro, per cercare di migliorare l'accoglienza».
Ma l'università italiana è competitiva sul piano internazionale? «Io credo che la qualità dell'università italiana sia ancora apprezzata all'estero - sostiene il prorettore - soprattutto per le aree umanistiche, anche perché il nostro è un terreno di "osservazione" impareggiabile, consideriamo il campo delle arti, ad esempio».
Ma se l'università italiana, a corto di finanziamenti e di idee, rischia di appannare seriamente la propria attrattività in campo internazionale, rimangono sul tappeto - nel concreto - tutti gli ostacoli che gli studenti «non comunitari» devono affrontare semplicemente in quanto stranieri, per poter attraversare la frontiera. L'Ucsei, l'Ufficio studenti esteri in Italia, ha recentemente presentato un programmna in otto punti per facilitare l'arrivo di studenti stranieri negli atenei italiani. Al primo posto, la necessità di superare la confusione normativa, che oggi vede uno studente straniero alle prese con le leggi sull'immigrazione, riconoscimento dei titoli di studio, politica dei visti e così via. Per questo viene richiesto una sorta di «statuto» dello studente che decide di formarsi in Italia.