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Manifesto: Prof cacciato da scuola intenta causa

Prof cacciato da scuola intenta causa

30/07/2009
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il manifesto

Cinzia Gubbini

Una laurea in lingue, un italiano fluente, la chance in più di essere francofono, giovane e con la voglia di insegnare: il ritratto di un perfetto prof. di francese. Invece Simohamed Kaabour ha dovuto lasciare la sua cattedra (da supplente) in una scuola media di Genova perché all'epoca dei fatti non aveva ancora ottenuto la cittadinanza italiana. Entro l'anno un tribunale stabilirà chi ha ragione: se il ventisettenne genovese di origini marocchine che ha intentato una causa per discriminazione sul lavoro contro lo Stato italiano o l'Avvocatura, che a quanto viene raccontato sta difendendo con le unghie e con i denti la sua posizione. I presupposti con cui lo stato italiano fa la guerra ai lavoratori stranieri che vogliono accedere a posti di lavoro pubblici sono sempre gli stessi: regi decreti (addirittura) o decreti più attuali che richiedono la cittadinanza per accedere a concorsi e simili. Gli avvocati che da anni intentano cause di questo tipo - e le vincono - combattono con armi più affilate: esistono norme superiori a qualche decreto (a partire dalla Costituzione) che impongono parità di trattamento sul lavoro, indipendentemente dall'origine etnica e dalla religione. Verrebbe da dire: altro che gli albi regionali voluti dalla Lega per reclutare il personale scolastico.
La storia di Simohamed è ancora più avvilente. Qui non si tratta neanche di ottenere un ricercatissimo contratto a tempo indeterminato. L'aspirante insegnante era andato a riempire quella schiera di docenti precari che tappano i buchi, migranti istituzionali che si spostano da una scuola all'altra firmando contratti di pochi mesi (a volte settimane). E' il 2007, Simohamed ha 25 anni e da un anno è laureato in lingue. «Facevo lavori saltuari - racconta - con due mie amiche italiane decidiamo di tentare la carta delle supplenze nelle scuole. Andiamo al provveditorato e ci fanno compilare un modulo. C'era una sezione in cui si chiedeva se si era in possesso della cittadinanza italiana. Io non la compilo, e firmo. Poco dopo vengo chiamato da una scuola media, e scopro un'attitudine inaspettata. Insegnare mi piace, e con i ragazzi si instaura un buon feeling, non c'erano molti professori giovani...». Simohamed insegna in quattro classi, per un totale di otto ore. La sua vita comincia a prendere una bella piega: ha trovato il lavoro a scuola, per quanto a tempo determinato, e nel frattempo arrotonda cominciando una collaborazione da mediatore culturale con una cooperativa. Finalmente raggiunge il reddito minimo per chiedere anche la carta di soggiorno, un documento molto ambito perché va rinnovato solo ogni cinque anni, a differenza di tutti gli altri permessi. «Fino ad allora vivevo con il permesso di soggiorno per studio, da rinnovare ogni anno. Per ottenere la carta devi dimostrare un reddito minimo, e quello di mio padre, che fa l'operaio in fabbrica, non bastava a coprire noi quattro fratelli». Nel frattempo era anche partita la domanda per la cittadinanza. Ma quella si sa, la fai e non si sa quando arriva la risposta: possono passare anni.
Quando il giovane insegnante si reca nella segreteria della sua scuola a chiedere i documenti per la carta di soggiorno, però, si crea il gelo: «Si sono improvvisamente resi conto che non avevo la cittadinanza. Alla fine della mia ora di lezione mi chiamano e mi dicono: ci dispiace, ma lei non può stare qui». Per lui, un brutto colpo: «Ho scoperto che non potevo fare il lavoro per cui ho studiato».
Un mese fa Simohamed ha finalmente ottenuto la cittadinanza: «Sono stato fortunato, mia sorella che l'ha chiesta con me ancora sta aspettando». Per prima cosa è andato a presentare il modulo per poter insegnare. Ma la sua causa va avanti. «C'è una giurisprudenza consolidata in materia ormai - spiega l'avvocato Alessandra Ballerini, che segue il caso - e ci sono casi, come è accaduto recentemente con un bando di concorso in un ospedale ligure, in cui trattando si riesce a far togliere il criterio della cittadinanza». Ma la discriminazione è dura a morire. E poi ormai siamo nell' epoca degli albi regionali e dei test in cui un insegnante, per fare il suo mestiere, deve dimostrare di essere un erudito di tradizioni locali.