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Manifesto-Scuola mercato

Scuola mercato Negli ultimi giorni avete pubblicato una serie di articoli sulla situazione della scuola. Non sono un precario, sono un "sissino". Alle colleghe ed ai colleghi precari ed alle tante...

07/08/2003
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il manifesto

Scuola mercato

Negli ultimi giorni avete pubblicato una serie di articoli sulla situazione della scuola. Non sono un precario, sono un "sissino". Alle colleghe ed ai colleghi precari ed alle tante ed ai tanti che, vincitori di concorso, si sono trovati senza la cattedra va il mio appoggio e la mia comprensione per quanto sta accadendo, per il "malessere" (parola che solo inadeguatamente può definire il loro stato d'animo) che vivono. Molti di loro - la lettera a firma di Giuseppe Ferro, pubblicata il 2 agosto è un esempio - sono anche sposati e si trovano a non poter più progettare la propria vita. Li capisco, e mi spiace. Non voglio entrare nella questione dei 30 punti, ma tentare di ragionare su quanto accade: sono costretto perciò a compiere un salto indietro, ed a ricordare che le Sis sono il frutto di una politica che ha visto progressivamente lo stato ridurre i finanziamenti alle università, costrette in tal modo a cercare "sul campo" i denari con i quali andare avanti. Dal 1990 in poi (dalla Ruberti in poi) le tasse universitarie sono state progressivamente aumentate. Le università hanno anche progressivamente aumentato "l'offerta" di corsi di laurea e di post-laurea (perfezionamenti, specializzazioni, masters...) allo scopo di raccogliere quanti più soldi possibile. Più bravo, in quest'ottica, non è chi prepara meglio gli studenti, ma chi riesce a calamitare quanti più studenti possibile (è la stessa logica che c'è sotto le leggi di riforma della scuola), trovando sul mercato i soldi con cui finanziare le proprie ricerche piuttosto che ricorrere ai finanziamenti dello stato. Lo stato, da parte sua, aveva originariamente previsto che dovessero tenersi concorsi a cattedra ogni due anni circa. Prima dell'ultimo maxi concorso del 1999/2000, c'era stato il concorso nel '90. Fra il 1980 ed il 2000, il nulla. Dopo il 2000, si sono affrettati a spiegare dal ministero, mai più maxi concorsi. Nel frattempo sono state messe in funzione le Scuole di specializzazione (Sis),previste, adesso non ricordo più quale sia con esattezza, da una legge fra 1990 e 1991. Non finisce qui: perché lo stato ha progressivamente ridotto il numero delle cattedre ed accorpato vari istituti. Il dramma, mi sembra, è che tutti (vincitori di concorso, precari, "sissini") hanno ragione ed ha torto marcio solo chi ha creato scientemente questo caos che finisce con il fomentare tensioni all'interno della scuola. I vincitori di concorso ed i precari si sono visti sottrarre le cattedre non tanto perché noi delle scuole di specializzazione abbiamo scavalcato molti di loro - questo è l'effetto - ma perché "qualcuno" (che ha un nome, un cognome, una precisa ideologia ed appartiene ad un certo partito) ha deciso di ridurre il numero delle cattedre, di accorpare più istituti ed unificare le fasce, ledendo i diritti di molti colleghi e creando il caos. Caos che non accenna a diminuire perché se le scuole "statali" sono tenute a chiamare dalle graduatorie pubbliche, altre scuole - che hanno ricevuto i finanziamenti statali - possono non farlo. Caos che aumenta perché, per via della "razionalizzazione", i docenti di religione che potrebbero perdere la cattedra potrebbero insegnare la disciplina in cui sono laureati (possono non essere abilitati). Questo caos pianificato (mi sovviene Marcuse quando parla della organizzazione della penuria in "Eros e Civiltà") finisce per indirizzare molte persone all'insegnamento nella scuola privata, che viene vista come unica ancora di salvezza. Dopotutto, dal '90 in poi si è fatta strada l'idea che "privato è bello", purtroppo anche all'interno della sinistra - questo governo non fa che portare all'estremo questa politica. Il messaggio sotterraneo che questo caos pianificato emette è che il servizio pubblico non funziona e quindi è meglio passare al "privato". Questo, naturalmente, vale anche per la scuola. D'altra parte, anche noi delle Sis abbiamo ragione: abbiamo dovuto passare un primo concorso di ammissione (scritto ed orale), seguire, studiare e dare gli esami nel corso dei due anni (per la mia classe di concorso, filosofia e storia, a Milano, i miei colleghi ed io abbiamo sostenuto 11 esami - ciascun esame era in realtà costituito di due esami - ed una idoneità di lingua straniera) prima di poter sostenere quello abilitante. Da più parti hanno detto che sono "abilitazioni comprate". Faccio presente che ci sono esami comprati, lauree comprate, ecc. L'accusa, comunque, mi sembra piuttosto ingiusta, perché la Sis -soprattutto dopo l'ultimo maxi concorso - rappresenta l'unica maniera in cui i laureati possono accedere all'insegnamento. Laureati che rappresentano più o meno il 6% della popolazione italiana e che non hanno lavoro. Piuttosto che massacrarci fra noi, dovremmo cominciare a discutere seriamente di come opporci a questo stato di cose ed imporre dal basso (ed una legge di iniziativa popolare può farlo) che il reclutamento nelle scuole private avvenga attingendo alle graduatorie pubbliche.
Fabio Fino, fabiofino@libero.it

Tranne qualche rara eccezione, il tono delle numerosissime lettere che - sull'argomento - sono arrivate in redazione è quello dell'intervento sopra pubblicato: pacato, pronto al dialogo e all'avvio di possibili iniziative congiunte tra sissini e cosiddetti "precari storici". Costretti, da entrambe le parti, a versare in uno stato di incertezza e di insicurezza. Una conferma di quanto - sulle nostre pagine - è stato più volte affermato: la tensione creatasi intorno al problema delle graduatorie è il frutto delle scelte di un governo che continua a considerare la scuola pubblica come terreno di risparmio e non di investimento. Lo dice bene il nostro lettore quando fa risalire parte della questione già al taglio dei finanziamenti all'università. Tagli cui si sono aggiunti - nella scuola - la riduzione dei posti di lavoro, quella degli insegnanti di sostegno, quella di fondi e di investimenti. In ballo non c'è la legittimità dei 30 punti concessi ai sissini né quella dei 18 punti prima concessi e poi maldestramente tolti ai precari. Certo, in punta di diritto, se ne può discutere e ne discuteremo: con la consapevolezza, però, che a fare decreti, leggi e leggine non sono stati né i "precari storici" né i sissini. Né in ballo, inoltre, c'è alcuna comparazione "di merito" tra la professionalità acquisita tramite concorso o quella acquisita frequentando una scuola di specializzazione. In gioco c'è la professionalità e basta, acquisita che sia stata - o meno - sul campo; una professionalità evidentemente considerata poco redditizia e della quale, pertanto, l'attuale governo non sa che farsene. Altrimenti perché a monte di 117.000 cattedre ancora vacanti nessuna immissione in ruolo è stata ancora fatta? E perché, ancora, per il secondo anno consecutivo non è stato individuato, come prevede la legge, il contingente di posti da mettere a concorso per le nomine a tempo indeterminato? Forse perché, scusateci la malafede, i precari - "storici" o "sissini" che siano - costano di meno: licenziati a giugno verranno, forse, riassunti a settembre per poi rimanere nuovamente senza lavoro a Natale. Va da sé che le vacanze le faranno a Pasqua. Periodi benedetti nei quali, forse, saranno solo i docenti di religione appena immessi in ruolo con una legge passata sotto silenzio a poter tranquillamente lavorare. Precarizzare, infine, il lavoro nella scuola lascerà passare quella libertà di licenziamento prevista dalla controriforma Moratti attraverso la riduzione dell'orario scolastico e, dunque, del numero dei docenti. E' su questo che bisognerebbe riflettere, al di là di punteggi a preminenze. La guerra tra poveri non la vogliono i poveri e solo ai poveri fa male.

(iaia vantaggiato)