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Manifesto: Sembra una fiera, è l'università

Roma: La «caccia ai cervelli» delle multinazionali alla Sapienza. L'iniziativa «Brain at work»

14/03/2008
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il manifesto

Roma La «caccia ai cervelli» delle multinazionali alla Sapienza. L'iniziativa «Brain at work»

Centinaia di studenti muniti di curriculum, selezionatrici sorridenti
in tailleur. E i sindacati
che ci mettono la firma

Andrea Tornago

Roma
Appena qualche decina di metri fuori dalla città universitaria della Sapienza gli studenti fanno la fila per entrare a «Brain at Work», grande fiera di aziende «a caccia di cervelli». Un'addetta alla sicurezza dirige il traffico di capitale umano, si accede massimo due o tre alla volta, c'è una borsa di tela e un gadget per ciascuno - questione di attenzione verso la Persona, il «vero capitale dell'azienda» come assicurano tutte le imprese presenti alla manifestazione. Una serie avvolgente di stand aziendali con nomi illustri - Toyota, Ibm, Hp, Johnson & Johnson, Vodafone e Ikea per citarne alcuni - in cui sorridere e consegnare il proprio curriculum, presentarsi facendo «particolare attenzione al comportamento, che dev'essere attivo e propositivo» secondo le indicazioni degli organizzatori. Qui è la prima impressione quella che conta, e centinaia di studenti si affannano a comunicare meglio degli altri motivazione, interesse, leadership, iniziativa, nella speranza di ottenere un segno a matita sotto la lettera di presentazione che li metta in lista d'attesa per un colloquio.
La compravendita di persone comincia immediatamente, prima ancora della presentazione iniziale del prorettore dell'Università «La Sapienza» Piero Lucisano. L'Ateneo romano patrocina la fiera, ma arriva - per sua stessa ammissione - in ritardo rispetto al processo che si sta consumando, si mostra incapace di governarne esiti e sviluppi. E in effetti suonano ridicole le osservazioni del prorettore sulla violenza del concetto di «capitale umano» e sul «destino di precariato» che attende al varco i giovani laureati: nelle altre stanze della fiera intanto va in scena un affollatissimo mercato che nessuno può ambire nemmeno a raccontare per esteso, figuriamoci a controllare.
«How much money», chiede un visitatore allo staffman di una importante azienda al termine di una presentazione: l'imbarazzo è generale, ha colpito nel segno.

Fidanzate aziendali
«Dinamismo, flessibilità, mobilità, problem solving, team working». Un'enorme piramide si materializza a colpi di slide alle spalle del Senior Manager che presenta la sua multinazionale agli studenti, è la piramide del cursus honorum aziendale e lui si colloca sul gradino appena sotto il vertice. «Metà dei miei colleghi - spiega alla platea - è sempre in giro per l'Italia e per il mondo. Ti occupi una settimana di un cliente a Singapore, la settimana dopo sei a Houston. Puoi avere un ufficio a Roma, a Milano, ma non è importante. È tanto per avere una casa, una fidanzata di riferimento». Qui dovrebbe scappare la risata, e puntualmente arriva. L'azienda è così, vuole la tua vita, i tuoi sogni, le tue emozioni. Ma fornisce tutto, persino la fidanzata aziendale. Forse fa parte dei gadget di serie come l'auto, il telefonino, l'ufficio, la cravatta col logo. Li indossi al lavoro o vicino a casa ma se vuoi rimorchiare nei due giorni che sei a Sidney magari tiri fuori un abito nuovo.
Le donne presenti ridono, anche se va in scena ovunque un'ammiccante fiera del corpo femminile secondo l'azienda, e pare chiaro a tutti che la donna rientra pienamente nei bonus e nelle dotazioni di ogni manager. Selezionatrici del personale in tailleur, quasi sempre una laurea in lettere e filosofia alle spalle. È praticamente impossibile parlare con loro, vorrebbero diventare famose ma non possono aprir bocca. «L'azienda mi licenzia», spiegano.
E il lato osceno, materiale della realtà resta nascosto, non figura dagli stand e dai sorrisi - anch'essi, aziendali - come non risulta il tipo di contratto con cui si può venire assunti, si parla solo di promozione e non di licenziamento, anche perché è un fantasma che sta scritto nel destino di tutti e si nasconde dietro ogni sorriso.

Blues, Soul
Dove sia finita l'Università mentre infuria questa convention imprenditoriale non si capisce. Il prorettore nel frattempo ci spiega che Blus ha reso possibile questo incontro, acronimo di «Borsa Lavoro dell'Università Sapienza». Ma si legge «blues», come la musica del demonio. «Si ispira alla sua armonia, all'accordo, alla cooperazione, non alla competizione». Blus è un servizio che tenta di far «incontrare» i laureati alla Sapienza e il mondo del lavoro, riducendo i tempi di inserimento e favorendo quello che viene chiamato lo scambio tra i due mondi. Ma nonostante sia attivo solo dal 2006 al prof. Lucisano non piace del tutto, il termine «borsa» richiama «uno scambio di merci, di pezzi per meccanismi produttivi, mentre noi dobbiamo produrre cittadini. È riduttivo». Per questo ora è nato Soul, «Sistema di Orientamento Universitario al Lavoro» che comprende tutte e tre le università romane più l'Istituto Universitario di Scienze Motorie (Iusm). Anche in questo caso al prorettore sembra un peccato rovinare con le spiegazioni la poesia della parola: Soul è musica, ma anche e soprattutto «anima: abbiamo voluto dare un'anima a questo scambio, che è rapporto di persone e tra persone».
Ci stanno persino i sindacati, in Soul. Per «garantire al massimo gli studenti nello stipulare i contratti con le imprese, per aiutarli ad orientarsi nei meandri della legge 30». Ma ecco che il prof. Lucisano ha un'intuizione: «Anche se in verità tutto corre più veloce di noi, e gli studenti in situazioni come queste il Soul lo scavalcano e vanno in contatto diretto con le aziende». Anche qui, la risata arriva. Peccato non ci fosse anche il sindacato: avrebbe riso? C'è da chiederselo. Ma tanto le tre organizzazioni confederali in Soul non hanno che un modesto «sportello dei diritti» in un'area che porta il nome Ztl, «Zona Tutela Lavoro», e non è un caso che ci sia omonimia con la più nota «Zona Traffico Limitato». In questi luoghi, in queste zone di mercato del lavoro «liquido» il sindacato non arriva.
Eppure è presente, se ne leggono le sigle ed è quanto basta per avallare il tutto e rafforzare la falsità del concetto di «armonia e collaborazione», eliminando ogni traccia di conflitto. Niente più conflitto sul lavoro, niente conflitto in un'Università che si propone di «rivalutare attraverso questa esperienza come funzionano i nostri corsi di laurea». Se c'è poca prossimità con le aziende, li modificheremo. Niente più conflitto, solo Soul, anima. Collaborazione. Brain at work. «How much money?»