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Manifesto: Si torna a scuola col grembiule verde

Asse Bossi-Tremonti-Gelmini sull'istruzione padana

26/08/2008
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il manifesto

Matteo Bartocci
ROMA
Nessuna retromarcia, anzi. La ministra dell'Istruzione Maria Stella Gelmini insiste sui corsi «di recupero» forzati per gli insegnanti nel Sud e già che c'è inciampa anche nell'ennesima gaffe: «L'aggiornamento intensivo dei professori - spiega provando a placare le polemiche - si farà solo sui test dell'Ocse». Test che però non esistono e tantomeno, spiega chi di scuola e formazione si occupa da sempre, possono ispirarsi all'indagine «Pisa» citata a sproposito negli ultimi giorni dalla ministra.
«Mi sembra che al ministero ci sia molta confusione - spiega Benedetto Vertecchi, direttore del Dipartimento di progettazione educativa e didattica dell'università Roma Tre - le statistiche Pisa funzionano proprio perché prescindono dalla cultura dei vari paesi. Sono formule aperte, astratte e metodologiche (esempio: «Perché dopo il giorno c'è la notte?», ndr) che servono a comparare i risultati di alcune abilità, non sono test che misurano la qualità dell'apprendimento reale che i 15enni fanno in classe. Misurano se si è capaci di leggere, non se si comprendono Dante o Shakespeare. E' un framework, una cornice, che non dà nessuna informazione sui veri contenuti dell'apprendimento».
Formare gli insegnanti su come far scantonare agli studenti i test di matematica invece che prepararli alla matematica in sé è una scorciatoia pericolosa e inutile. Eppure. «Le scuole del Sud abbassano la qualità della scuola italiana», aveva detto sabato scorso la lombarda Gelmini sollevando un putiferio con la proposta dei «corsi di recupero forzati» per gli insegnanti meridionali. «Dichiarazioni di puro stampo leghista», risponde Enrico Panini, segretario nazionale Flc Cgil. «La ministra dovrebbe chiedere scusa a tutti gli insegnanti, non solo a quelli del Sud, per affermazioni che vanno definite per quello che sono: frasi puramente razziste», tuona Alba Sasso, ex deputata di Sd in prima fila per la scuola.
Dei veri problemi dell'istruzione italiana del resto gli esperti discutono da anni: scuole fatiscenti, istituti professionali senza tornio, latitanza degli enti locali, arretratezza culturale ed economica delle famiglie e della classe di provenienza. Daniele Checchi, economista all'università di Milano, conoscere bene i dati «Pisa», grazie ai quali ha pubblicato diversi studi proprio sul divario Nord-Sud nei tassi di istruzione. «Abbiamo preso nelle diverse province tre fattori in grado di influenzare i risultati degli studenti - spiega Checchi al manifesto - l'ambiente familiare, il contesto sociale (disoccupazione, criminalità giovanile, livello di istruzione degli adulti) e l'ambiente scolastico (qualità degli edifici, risorse stanziate, etc.)». I risultati? «Il 50 per cento del divario nei test è dovuto sicuramente all'ambiente sociale», assicura Checchi. Per il 30% pesano le differenze familiari e il resto è dovuto alla scuola in quanto tale: ogni studente del Sud - quantifica Checchi - riceve mille euro in meno all'anno in finanziamenti scolastici rispetto a un suo coetaneo del Nord. «La diversa preparazione degli insegnanti nelle varie regioni io la escluderei del tutto - assicura Checchi a proposito delle polemiche - spesso dal Mezzogiorno i professori si trasferiscono al Nord per tornare a casa a fine carriera, dunque in media sono insegnanti ben formati o preparati come gli altri». Il punto è un altro: «Un problema molto percepibile - conclude il professore - è il precariato. E' chiaro che avere insegnanti stabili e di ruolo ha un'influenza sensibile sull'apprendimento».
Problemi reali che per il governo di destra non sembrano esistere. Le soluzioni proposte finora sono note: grembiule per tutti, voto in condotta, ritorno alle vecchie pagelle, abbassamento dell'obbligo scolastico, ritorno al maestro unico (anche se proprio le elementari ottengono ancora buone valutazioni internazionali), taglio di 85mila insegnanti in tre anni, furore «anti '68» a piene mani. In un panorama simile i corsi di recupero per i prof. del Sud parrebbe poca cosa. I numeri parlano chiaro: il ritorno al maestro unico anni '50 come vuole Bossi, attacca Panini, «vuol dire tagliare due maestri su tre» soprattutto nel Sud. E senza cattedre l'esito è scontato: più alunni per classe e meno ore a scuola. Secondo la Cgil le elementari e le medie passeranno da 28-29 ore a 25, con classi di 35 alunni.
Ma il punto oltre che culturale è squisitamente politico. Secondo Panini la vera notizia di questa estate torrida per la scuola è «il patto di ferro tra Bossi, Tremonti e Gelmini per il lancio definitivo dell'istruzione regionale». «Il Tremonti neo-pedagogista e la destra leghista - attacca il sindacalista Cgil - mirano a riscrivere il patto costituzionale. Da un lato si ritorna alla scuola degli anni '50, che sanciva differenze invece di garantire diritti. Dall'altro i minori investimenti dello stato servono a finanziare con il federalismo la futura scuola regionale. Il governo gioca con la solidarietà nazionale sulla pelle dei ragazzi».
Per qualche minuto l'opposizione pare uscire dal letargo. In un'interpellanza urgente una cinquantina di parlamentari di Pd, Idv e Udc hanno chiesto alla Gelmini di riferire sul «caos in cui versano la scuola e l'università».