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Manifesto: Tagli alla ricerca, Mussi minaccia le dimissioni

Protestano i rettori delle università italiane, inserite dalla «manovrina» tra gli enti obbligati a ridurre del 10% le spese per «consumi intermedi». Il ministro minaccia: me ne vado

27/07/2006
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il manifesto

Francesco Piccioni
Roma
Non si può, sinceramente, incappare in contraddizioni così clamorose in poche ore. Prodi, nel question time alla Canera sulla posizione assunta dal governo in ambito europeo sulla ricerca per le cellule staminali, aveva appena detto che «sono orgoglioso della ripresa del ruolo dell'Italia anche in qeusto campo», rassicurando il parlamento che ogni mossa del ministro Fabio Mussi era stata «costantemente concordata con la presiddnza del consiglio». Un'enfasi che accrediterebbe l'idea di un governo concentrato nel far riprendere forza e ruolo alla ricerca scientifica del nostro paese.
Pochi minuti dopo, dalla conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), è arrivata una bordata pesantissima contro l'esecutivo proprio in questa materia. Complice l'analisi impietosa compiuta dai rettrori dei contenuti della «manovrina» appena approvata dalla Camera e che inserisce ancora una volta le università (e quindi anche la ricerca) «tra gli enti obbligati a tagliare del 10% le spese per consumi intermedi» (affitti, canoni, servizi). Tutti oneri «derivanti da contratti e impegni spesso pluriennali, non contraibili», spiega il presidente dei rettori, Guido Trombetti. Duecento milioni di euro in meno, per quest'anno, che finiranno per ridurre servizi per gli studenti e progetti di ricerca, visto che le altre spese sono «non contraibili».
Non basta. «Il decreto - spiega il rettore di Roma 3, Guido Fabiani, da sempre considerato peraltro più che vicino all'Unione - prevede che le somme provenienti dalle riduzioni previste siano versate all'entrata del bilancio dello stato entro il mese di ottobre». Cioè una fuoriuscita netta di risorse, che forse sarebbe stato meglio reperire «chiedendo alle università di realizzare un piano autonomo e controllato di riduzione dei costi, con l'impegno a riallocare i risparmi a favore delle urgenti misure di sviluppo richieste dal sistema universitario».
Durissimo il giudizio finale di Trombetti: «difficile immaginare un inizio peggiore della politica del governo verso università ed enti di ricerca». Parla di «beffa e provocazione» attraverso un «maxiemendamento di decine di pagine che accolgono qui e là esigenze corporative», fino allo sconfortato «forse l'idea vera che si ha del destino del nostro paese è di farne un parco giochi - per carità, protetto - del mondo avanzato ed emergente». Se così fosse, «il sistema universitario italiano non sarà in grado di reggere ancora a lungo».
Il ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, non ha esitato un attimo a far proprie le perplessità dei rettori. Con una nota ha ricordato che l'aumento delle risorse per università e ricerca era un punto chiave del programma dell'Unione, rispondendo anche agli impegni e alla logica della «strategia di Lisbona» (la crescita economica dipende dall'aumento della produttività totale dei fattori, il che implica più investimenti, innovazione, ricerca e sviluppo). Anche lui coglie «la bizzarria di esentare dai tagli «le scuole, l'Istituto superiore di sanità, l'istituto zooprofilattico, enti parco e chi più ne ha più ne metta», ma non le università.
«Nessuno - continua Mussi - si aspetta miracoli e abbondanza, ma se l'Italia, di fronte all'esplosione globale della spesa in ricerca e formazione superiore, annuncia provvedimenti di definanziamento» della ricerca, «si tratterebbe di un'altra politica» rispetto a quella con cui il centrosinistra si è presentato agli elettori. «La si potrebbe fare, ma in quel caso ci vorrebbe un altro ministro». Una minaccia di dimissioni che viene corroborata anche con una tempistica precisa: «me la sento di chiedere alla comunità scientifica uno sforzo eccezionale per contribuire al risanamento pubblico, ma è del tutto evidente che la finanziaria per il 2007 deve correggere l'errore». Appuntamento a novembre, insomma. Ma intanto, la credibilità del nuovo governo davanti alla parte di paese che viene dichiarata «strategica» per promuoverne la rinascita, è già sottozero.