Manifesto: Tanti precari, due cortei
Oggi la manifestazione nazionale contro i tagli del duo Tremonti-Gelmini 8 miliardi di euro in meno, 130 mila posti in fumo in tre anni
Francesco Piccioni
La scuola prova a farsi sentire. Assediata dai tagli del duo Gelmini-Tremonti, ammutolita dall'indifferenza dell'informazione, divisa da normative pensate apposta per preparare plurime «guerre tra poveri» e tenere le proteste lontane dal governo. Sovrastata mediaticamente, infine, dalla manifestazione per la libertà di stampa, spostata in seguito all'attacco contro i paracadustisti a Kabul e «atterrata» sulla scadenza nazionale preparata da oltre un mese dai precari dell'istruzione (docenti e Ata, il personale tecnico-amministrativo).
Un insieme di difficoltà che ha inciso anche sulla tenuta unitaria di un movimento fiero della propria autonomia da partiti e sindacati, ma anche fatalmente obbligato a conquistarsi buone relazioni con il mondo che lo circonda. Una difficoltà che si esprime a Roma, oggi pomeriggio, con due cortei distinti. Che partono intorno alle 15 a pochi metri di distanza l'uno dall'altro, fanno percorsi diversi per poi ritrovarsi davanti al ministero dell'istruzione. Uno scenderà da Santa Maria Maggiore per via Labicana, il Colosseo, il Circo Massimo, piazza Venezia. L'altro si muoverà da piazza della Repubblica per raggiungere e attraversare piazza del Popolo (dove si concentrerà la protesta in difesa della libertà di stampa); e da cui ripartirà - dopo un intervento dei precari dal palco - lungo gli argini del Tevere, fino a risalire a Ponte Garibaldi e concludersi in viale Trastevere.
Ma in cosa consistono i tagli all'istruzione? Otto miliardi di euro in meno, 130.000 persone da licenziare in tre anni, classi gonfiate all'inverosimile, azzeramento del fondo di funzionamento degli istituti - ormai è prassi, per i presidi, chiedere alle famiglie un «contributo» per l'acquisto di materiale di prima necessità (dalla cancelleria alla carta igienica) - servizi educativi tagliati via.
Solo per l'anno scolastico in corso sono stati cancellati 42.100 posti tra i docenti e 15.167 tra gli Ata. I tagli al personale più consistenti riguardano soprattutto le regioni merdionali (la Campania ha il record, con 8.120 cattedre in meno, seguita da Sicilia, Puglia e Calabria). Ma «botte» pesanti sono arrivate anche sulla Lombardia (quasi 7.000 in meno), il Veneto e il Lazio. Il «saldo» tra posti a disposizione dei precari quest'anno è drammatico: 25.000 in meno rispetto a un anno fa. Una città di dimensioni rispettabili, tutta disoccupata. Altrettanti - uno più, uno meno - se ne aggiungeranno l'anno prossimo e poi ancora nel 2011. La cosa drammatica è che di solito, nel bel mezzo delle crisi, gli stati si sostituiscono alle imprese nel produrre o sostenere l'occupazione. Qui, invece, lo stato aggrava la situazione operando quel che è subito sembrato «il più grande licenziamento di massa della storia repubblicana».
Per tamponare le proteste il governo non ha trovato di meglio che proporre i «contratti di disponibilità»; una sorta di ammortizzatore sociale «attivo» che scatta solo per quanti sono disposti a lavorare su «chiamata», dovunque capiti, all'interno di una provincia. Serviranno a ben poco. Specie ora che il Consiglio di stato ha annullato una disposizione ministeriale che imponeva di «mettere in coda» alle graduatorie gli insegnanti provenienti da altre province, senza più considerare il punteggio (ovvero l'anzianità di servizio). Il ministero - e i provveditorati - si trovano ora di fronte al dilemma: o rifare le graduatorie (e togliere dal ruolo molti di quelli che erano stati appena ammessi), oppure «sanare» l'ingiustizia immettendo in ruolo gli altri aventi diritto prima esclusi.
Da fine agosto, perciò, l'intera galassia dei precari si è messa in moto salendo sui tetti o incatenandosi davanti ai provveditorati, accampandosi davanti al ministero, protestando ovunque. Ora è il momento della manifestazione nazionale. Purtroppo, come si diceva, il movimento ci arriva mantenendo ferma - sì - un'unica piattaforma rivendicativa, ma non anche l'unità di iniziativa. E questo non può che danneggiarlo.
Sarebbe ora che l'intero mondo della scuola, come già avvenuto lo scorso anno, scendesse in campo per far sentire unitariamente la propria voce. Dopo la giornata di oggi potrebbe essere paradossalmente più facile. Dipende però da tutti i partecipanti al movimento, non solo da qualcuno