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Manifesto: test INVALSI, a scuola nessuna schedatura

Daniele Checchi

13/05/2010
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il manifesto

Gli articoli pubblicati dal manifesto il 5 maggio riferiscono dei test promossi nelle scuole dall'Invalsi in modo a mio parere preconcetto e distorto. A partire dalle titolazioni ("Un test classista e razzista - Un questionario dell'Invalsi indagherà sulla vita privata degli alunni" e "Questionari per onorare differenze di classe") e via via nel testo, si sostiene la tesi che la valutazione dei livelli degli apprendimenti degli alunni mediante somministrazione di test e di un questionario sulle caratteristiche socio-economiche delle famiglie di provenienza rappresenti una ingerenza nella vita privata degli stessi, quasi una schedatura degli alunni in condizioni sociali disagiate. In realtà in entrambi gli articoli si mescolano (in modo preoccupantemente ideologico) tre questioni distinte: 1) se sia utile (o addirittura necessario) misurare i livelli di apprendimento nelle scuola italiane, con test che siano identici sul territorio nazionale; 2) se sia possibile analizzare i risultati scolastici senza possedere informazioni sull'ambiente sociale di provenienza dell'alunno; 3) se utilizzando gli stessi dati si possa misurare la produttività degli insegnanti.
Sul primo punto credo sia facile convincere i lettori che solo una misura comparabile di quanto comprendono gli alunni quando leggono lo stesso testo in tutta Italia sia indispensabile per farci un'immagine realistica del funzionamento della scuola italiana. È stato solo grazie ai test Pisa (non a caso proposti e introdotti da un organismo internazionale) che è emersa la situazione disastrosa della scuola secondaria nel mezzogiorno italiano. Se avessimo guardato ai voti degli insegnanti, non ci saremmo accorti di nulla, perché nelle scuole del Sud i voti sono migliori (basti il dato eclatante che il 40% dei maturati nelle scuole secondarie pugliesi prende 100 e lode alla maturità). Se non si vuole nascondere la testa sotto la sabbia ed ignorare i problemi, occorre sapere di quanto sono in ritardo gli alunni e/o le scuole che vanno male. È tuttavia altrettanto chiaro che una misura assoluta degli apprendimenti non ha senso, perché la formazione è il risultato di interazioni complesse tra famiglia di origine, gruppo dei pari e azione degli insegnanti. Ma proprio per questo occorre sapere se un alunno è figlio di un genitore laureato o di un genitore analfabeta. Siccome non c'è alcun merito individuale nel parlare italiano correttamente se sei nato in una famiglia con genitori laureati e frequenti una scuola del centro urbano, è importante poter "depurare" i dati sugli apprendimenti dagli effetti ambientali.
Da ultimo è evidente che i dati sugli apprendimenti possono permettere di misurare la produttività del gruppo (e non quella individuale) degli insegnanti. Una volta noto il livello di competenze scolastiche all'ingresso, e una volta misurate le stesse competenze all'uscita, si può sostenere che quella differenza rappresenta il contributo della scuola alla formazione individuale (da cui il termine di "valore aggiunto"). Si potrà sostenere che gli apprendimenti non sono l'unica dimensione rilevante, che educazione civica o capacità di socializzazione siano obiettivi altrettanto importanti. Pienamente d'accordo. Ma almeno si eviti la vergogna degli insegnanti che hanno distribuito le prove dettando altresì le soluzioni agli alunni.
* Università di Milano