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Manifesto-Un'altra università è ancora possibile

FORMAZIONE Un'altra università è ancora possibile Solo degrado? Gli atenei possono rilanciare il loro ruolo formativo BERNARDO FAVINI ENZO SCANDURRA* Fino a qualche anno fa, prima de...

25/06/2004
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il manifesto

FORMAZIONE
Un'altra università è ancora possibile
Solo degrado? Gli atenei possono rilanciare il loro ruolo formativo
BERNARDO FAVINI
ENZO SCANDURRA*
Fino a qualche anno fa, prima della rivolta studentesca del'68, se venivi fermato alla guida della tua mitica "Cinquecento" da un agente della polizia stradale o dai carabinieri per una qualche infrazione, bastava dire loro che eri uno studente universitario. L'agente, sorridendo benevolmente, ti dava al più una pacca sulle spalle, da buon papà, aggiungendo qualcosa come: "Beh! Dottò, però stia attento e non lo faccia più". L'immaginario che la gente aveva dell'università era un immaginario buono; l'università era un luogo dove si studiava e ci si preparava per diventare persone importanti e influenti della società. I professori universitari erano anch'essi uomini di tutto rispetto che, al più, avevano l'innocente difetto di avere la testa tra le nuvole inseguendo pensieri astratti fuori dalla portata dei comuni umani. Non crediamo che il cambio di immaginario del mondo accademico avvenuto in questi ultimi anni, sia il riflesso esclusivo di quanto avvenuto nel `68; crediamo piuttosto che esso sia dovuto a qualcosa di più complesso che, per il momento e per semplificare, chiameremmo "perdita di innocenza" di un sistema formativo che da comunità scientifica ed educativa, su base nazionale (il modello di Humboldt), si è trasformato in un apparato burocratico-amministrativo animato solo da ossessioni funzionali e da oscuro e ambiguo efficientismo. E' per questo che l'università viene ormai descritta come un luogo di malaffare e che da più parti questo cambiamento venga inteso come il tramonto di un'epoca nella quale l'università era considerata un luogo quasi sacro e degno del rispetto di tutti. L'immagine fornita ora dai media è quella di un luogo dove avvengono traffici illeciti di esami, cronache e vicende rosa, se non addirittura porno, morti e suicidi misteriosi, omicidi "per gioco". Ma non basta. A questo immaginario devastante si associa una profonda mutazione antropologica secondo la quale l'università è ora una azienda (c'è chi infatti propone la figura del manager didattico) che deve trasformare i propri "clienti", o "utenti consumatori" in prodotti finiti. Da dentro il "fortino" assaltato quasi mai si leva una voce in difesa di questa dignità perduta e le stesse persone (docenti e studenti) che pur svolgono con impegno il loro lavoro quotidiano non fanno sentire la loro indignazione, non rendono pubblico il loro sconforto, né la loro protesta. Come mai? La domanda che occorre porsi è la seguente: come mai le "malefatte dei pochi" riescono a oscurare e ad annullare l'impegno dei molti? Insomma, cui prodest tutto questo? Risalire ad analizzare il senso di questo lento e inesorabile declino dell'università richiederebbe un'analisi molto articolata. Qui ci limiteremo semplicemente ad accennare come l'università più grande d'Europa - La Sapienza - sia diventata l'emblema e il simbolo di questa trasformazione antropologica condensando in sé tutti i mali e tutte le immagini negative che vengono rinfacciate e attribuite all'università a dispetto di una realtà "invisibile" operosa e silenziosa che non fa immagine. Se verso le 22 o le 23 di sera ti trovi davanti l'ingresso de La Sapienza, a piazzale Aldo Moro, ti capiterà senz'altro di vedere uscire da quella cittadella qualche professore con borsa, qualche gruppetto di ricercatori entrato la mattina e che certo non era lì, a quell'ora, per "fare affari" personali. C'è, insomma, un intero mondo di docenti, ricercatori, personale tecnico e amministrativo e studenti che fanno di questa università ancora un modello miracoloso e invidiabile se confrontato con i pochi spiccioli di finanziamento che le vengono dati e che, negli Stati Uniti tanto citati, avrebbero come unico esito quello di far chiudere qualsiasi università. Certo, sono veri anche gli episodi di degrado. Non si capisce, per esempio, come il Rettore de La Sapienza possa essere al tempo stesso anche Presidente del Centro per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Come se per fare il Rettore della più grande università europea bastasse il mezzo servizio. Ma resta la domanda inquietante del "a chi giova" questo immaginario così negativo e devastante. Avanziamo l'ipotesi che tutto questo giovi a chi l'università pubblica, e con essa l'intero sistema formativo italiano, voglia liquidarlo e privatizzarlo. I segnali ci sono tutti, basta metterli in fila gli uni con gli altri: molti danno per certa l'approvazione della "riforma" Moratti che introdurrebbe il famoso modello a "Y" sostituendo l'attuale "tre più due" quando ancora non si dispone di alcun risultato e verifica sistematica su quanto e cosa quest'ultimo modello abbia prodotto. Certo è che i principali obiettivi che il modello "tre più due" si proponeva - riduzione degli anni di studio per acquisire la laurea, maggiore opportunità di lavoro - sembrano non realizzati. I tre livelli di laurea (laurea triennale, laurea specialistica e dottorato di ricerca" contrariamente a quanto avviene negli Stati Uniti dove essi fanno riferimento a tre ambiti diversi di "domanda", attingono, almeno in Italia, allo stesso mercato del lavoro entrando in concorrenza tra loro a tal punto che non si capisce a cosa possa servire questa differenziazione. Ora, a La Sapienza, è in corso la campagna elettorale per le votazioni del prossimo Rettore (si voterà a settembre). Recentemente si sono visti forse tiepidi ma incoraggianti segnali di ripresa di una partecipazione e di un dibattito non solo culturale e scientifico ma anche politico e civile; segnali che fanno sperare - nel clima di disincanto e frustrazione generale del nostro mondo accademico - che forse il Grande Disastro descritto maldestramente dall'articolo di Pietro Citati su La Repubblica non è inevitabile; che, forse, un'altra università è ancora possibile: il ritorno a una comunità scientifica operosa come è nel suo statuto originario.

*Docenti di ingegneria allaSapienza