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Manifesto: «Un'onda europea»

Ponte di tregua per le proteste scolastiche, mentre non si placano le polemiche sugli scontri di piazza Navona. Gli studenti italiani e stranieri del polo d'eccellenza Ue di Fiesole: «La riforma riguarda anche noi»

02/11/2008
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il manifesto

Teresa Pullano
FIESOLE (FIRENZE)
Sembrano dei monaci quegli studenti che, uno ad uno, percorrono la stretta strada che, in mezzo agli ulivi, ai colori e alla dolcezza delle colline di Fiesole, conduce alla Badia. Qui dei monaci c'erano per davvero, a partire dal 1028, anno della fondazione del convento. Oggi questo luogo ospita un ente di ricerca e di studi dottorali e post-dottorali che è finanziato e gestito direttamente dalla Commissione europea. L'Istituto universitario europeo è un centro di eccellenza a livello continentale, qui arrivano docenti e dottorandi da tutto il continente, spesso da tutto il mondo. Eppure, anche se in questo spicchio d'Europa non si parla nemmeno l'italiano (la lingua ufficiale all'interno della Badia è l'inglese), anche qui sono preoccupati. Il trio Gelmini-Brunetta-Tremonti è riuscito nell'impresa di rompere la quiete di questo luogo di solito così appartato.
Una parte dei dottorandi, italiani e stranieri, si è costituita in un gruppo, «Iue in movimento», che comunica all'esterno attraverso un blog. Hanno indetto varie assemblee all'interno dell'università, hanno partecipato agli incontri con l'«onda» fiorentina. Sono scesi in piazza, si sono sporcati le mani anche loro, che in genere appaiono un po' snob e distaccati dalla vita della città e del paese che li ospita. Il prossimo 5 novembre tre professori dell'Istituto, Donatella della Porta, Antonella Romano e Heinz Gerard Haupt, terranno delle lezioni su «movimenti, diritti e libertà» in piazza Sant'Ambrogio a Firenze. Mentre loro, i dottorandi hanno volantinato al mercato di piazza delle Cure e a piazza Sant'Ambrogio. La loro posizione l'hanno esplicitata in un comunicato ufficiale nel quale affermano di essere anche loro parte del movimento italiano, perché la legge Gelmini li riguarda, anche se di primo acchito potrebbe sembrare il contrario.
L'Iue infatti non subirà tagli, perché dipende direttamente da Bruxelles ed è una vera e propria riserva indiana. Qui i dottorandi italiani hanno condizioni di studio che nemmeno si sarebbero potuti sognare rimanendo in una qualunque delle nostre università. In primis, tutti hanno una borsa di studio che li copre per tre anni almeno. E questo senza che in cambio gli venga chiesto nulla che esuli da un'attività di studio. Quindi, niente lavoro gratuito per fare gli esami, correggere le tesi di laurea e fare il ricevimento, come invece accade per la maggior parte dei loro colleghi. Inoltre, le condizioni materiali di lavoro sono incomparabili con quelle che anche il migliore tra gli atenei italiani può offrire. Purtroppo però, almeno per gli studenti italiani, il sogno finirà presto. Chi ha finito o sta finendo ha solo due possibilità: o si sceglie di rimanere in Italia e ci si piega ai diktat dei baroni locali, accettando la penuria di risorse e un contesto in cui non c'è nessuna circolazione delle persone e delle idee, a dispetto delle parole d'ordine comunitarie. Oppure, spesso a malincuore, si lasciano gli ulivi di Fiesole per un posto come professore nelle università straniere. Eppure non solo i dottorandi italiani vorrebbero rimanere a lavorare come professori nelle università nostrane, ma anche, pensa un po', gli altri, gli stranieri. Ecco perché la pseudoriforma della Gelmini è davvero troppo.
Ce lo racconta Alice, dottoranda al quinto anno che lavora sui movimenti sociali: «Quelli approvati e chiamati impropriamente "riforma" sono solo tagli. Ad un sistema che è già esangue. Usciti da qui, noi italiani non abbiamo alcuna prospettiva di poter rimanere a lavorare nelle università del nostro paese, e anche gli stranieri che si vorrebbero fermare da noi sono scoraggiati. Non sanno nemmeno come devono fare per accedere ai concorsi, figuriamoci vincerne uno». Ecco perché, nel comunicato ufficiale che hanno diffuso, gli studenti di Fiesole chiedono che, anziché attuare il taglio di 1,4 miliardi di euro dal fondo di finanziamento ordinario degli atenei, si introduca un sistema di valutazione della ricerca e della didattica a livello nazionale. Il blocco del turn over e il progetto delle fondazioni private, scrivono, non farebbe altro che aggravare lo stato di sfacelo dell'università. Ciò che loro chiedono è invece una riforma dei concorsi e percorsi di carriera che premi la qualità della ricerca e scardini meccanismi di selezione e avanzamento guidati da pure logiche di potere. E di certo questi dottorandi non accettano di essere etichettati come «fannulloni» o «facinorosi» come tentano di fare il governo e una parte dei mezzi di comunicazione.
Loro rivendicano, come tutto il movimento degli studenti, competenze e autonomia di giudizio. Le loro competenze le metteranno infatti al servizio di un'analisi dettagliata del decreto Gelmini sulla trasformazione delle università in fondazioni, quando uscirà. Approfittando dell'interdisciplinarietà che caratterizza l'istituto e dello sguardo europeo, il decreto sarà analizzato dal punto di vista giuridico, economico e politico. Sarà poi messo in prospettiva con le linee guida della politica europea della ricerca e dell'università. I dottorandi produrranno cosi un vero e proprio documento. Chissà allora che l'arretratezza e la spregiudicatezza della Gelmini non balzino all'occhio di qualche funzionario europeo. «Uno dei nostri scopi», continua Alice, «è anche quello di far conoscere all'estero il decreto Gelmini e le proteste. Attraverso i dottorandi stranieri, alcuni dei quali collaborano anche con giornali e radio nei propri paesi, vogliamo che l'Europa sappia cosa stanno facendo alla ricerca e all'università italiane. Grazie alla nostra pubblicità, alcuni mezzi di comunicazione danesi hanno parlato della sedicente riforma Gelmini». Per tutti c'è la preoccupazione che l'Italia sia l'avanguardia di riforme del sistema universitario che in parte sono già in atto negli altri paesi membri.
Michele ha già discusso la sua tesi di dottorato e per ora, in attesa di un futuro impiego non precario all'università, rimane al sicuro in questa riserva indiana che è l'Istituto europeo. Lavora all'Osservatorio delle carriere accademiche dell'Istituto, che monitora le modalità di accesso alla carriera universitaria in Europa. È dunque ben piazzato per inquadrare a livello comunitario ciò che sta accadendo qui da noi: «La Francia è il paese che segue più da vicino i progressi italiani. Non solo i francesi si sono presi Sarkozy, imitazione d'oltralpe del nostro Presidente del consiglio, ma hanno introdotto una riforma dell'università che prevede tagli consistenti. Anche in Germania c'è stato, negli anni passati, un depotenziamento della ricerca. Ne è nato un forte movimento tra gli studenti che pero è stato sconfitto: la riforma si è fatta e le proteste si sono spente. Il rischio, da evitare, è che succeda la stessa cosa in Italia». Per Michele proprio l'Europa è stata l'apripista di una generale dequalificazione dell'insegnamento e della ricerca universitari con il format del 3+2. «È proprio per difendere un'idea forte di servizio pubblico di qualità che anche noi dottorandi di Fiesole ci stiamo muovendo». Con la legge Gelmini già approvata, il progetto Tremonti per le fondazioni private e il blocco del turn over incentivato da Brunetta non si andrà affatto verso una maggiore trasparenza e apertura al merito, al contrario l'Italia sarà, ancora più di oggi, una macchia nera nel panorama scientifico europeo.