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Manifesto: Università affondata

Alba Sasso

25/07/2009
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il manifesto

Alba Sasso
Le misure sull'Università adottate dal consiglio dei Ministri cercano di presentarsi come un momento di innovazione e di svolta, ma sono schiave della logica della legge 133, il famigerato decreto Tremonti contro il quale si sviluppò il movimento dell'Onda. A fare da sfondo il pesante ridimensionamento del fondo di funzionamento ordinario. Un miliardo e mezzo di euro in meno in tre anni che creano nei bilanci delle Università un buco da paura.
E questo mentre in altri paesi europei investire nell'istruzione e nella ricerca sta diventando in questo momento una scelta per arginare la crisi.
L'Italia, così, rimane l'ultima dei 18 paesi Ocse sia per quote di Pil destinate all'Università, sia per quote di Pil destinate alla ricerca. Ed è recentissima la scelta di Obama di destinare ben 40 miliardi di dollari a scuola e Università.
Gelmini annuncia con grande enfasi la nascita dell'Agenzia nazionale di valutazione (Anvur), creatura del ministro Mussi, non solo dopo averla ritardata di un anno, ma anche dopo averla resa un po' meno indipendente. E con la stessa enfasi racconta di merito e di qualità. Ma è mai possibile che un fondo di premialità, per di più in periodo di pesanti tagli, affossi alcune Università per premiarne altre, come in una sorta di Robin tax alla rovescia?
Oltre tutto i criteri di valutazione adottati, peraltro decisi autocraticamente dal ministro, sembrano discutibili e in alcuni casi cervellotici. Per fare un esempio, le Università meridionali soffrono del blocco da parte del governo dei fondi Fas, destinati agli investimenti in strutture e in edilizia, elementi che però sono rilevanti nella valutazione della qualità. Come dire: ti blocco i fondi, poi giudico inadeguate le tue strutture e per questo ti tolgo altre risorse. E ancora, perché tra i criteri di valutazione sul terreno della ricerca non è stata tenuta in considerazione anche la partecipazione di molte università meridionali al Fondo sociale europeo per progetti di ricerca legati allo sviluppo del sistema produttivo, che tanti risultati hanno avuto in termini di creazione di brevetti, di spin-off, di distretti tecnologici? O, se un criterio è quello della possibilità dell' occupazione degli studenti nell'arco di tre anni dalla laurea, come si fa a imputare la disoccupazione dei laureati alle Università e non alle realtà territoriali che queste hanno alle spalle? Qualche settimana fa il rapporto Svimez ci ha raccontato della rilevanza della nuova emigrazione intellettuale dal Sud. Anche questo colpa delle università spendaccione?
Insomma un gioco delle tre carte. Si tagliano risorse e si vuol far credere che si sta facendo un'innovazione. Anziché aggredire gli squilibri nel sistema universitario potenziandone la qualità complessiva e sostenendo chi cerca di migliorare, si condanna al degrado una parte grande della nostra realtà universitaria. Cresce così, anche per questa via, un dualismo che incrementa disparità e diseguaglianze nel nostro Paese.