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Manifesto: Università, un dibattito sbagliato

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04/08/2010
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il manifesto

Roberto Moscati*
Il dibattito sul ddl di riforma del'università in discussione al Senato ha riacceso l'interesse per un tema tradizionalmente poco sentito anche dai diretti interessati. In realtà sino all'introduzione della riforma degli ordinamenti didattici l'interesse per l'università era sporadicamente legato, nel nostro paese, alle proteste studentesche di inizio anno accademico. Per il resto il tema «non faceva notizia».
La riforma ha costretto un certo numero di docenti ad occuparsi dell'organizzazione dei propri ambiti istituzionali, scoprendo che esisteva un mondo al di là della propria stanza e della propria aula. Altri, interrogati sugli effetti della riforma hanno volentieri espresso il proprio parere generalizzando inevitabilmente la propria esperienza e proiettandola sull'intero sistema d'istruzione superiore. La mancanza di tradizione nel discutere dell'argomento appare evidente dal livello del dibattito oggi in corso. Si conferma l'affermazione attribuita anni or sono a Sabino Cassese, secondo la quale ogni docente dal momento che è inserito nel sistema universitario si ritiene perciò stesso esperto dello stesso.
La pagina dedicata da il manifesto del 29 luglio all'argomento sembra al riguardo emblematica (ma anche il dibattito su Il Corriere della Sera suscitato dagli articoli di Giavazzi e Salvati ha presentato esempi analoghi non trascurabili).
La generalizzazione delle proprie esperienze, forzatamente limitate e settoriali e quasi sempre caratterizzate da profonde delusioni (le esperienze positive non vengono raccontate e comunque non sono interessanti per i media, come del resto la cronaca bianca rispetto alla nera) non rappresentano, fortunatamente, la realtà complessiva dell'università italiana ma come tale vengono percepite. Ad esse è difficile contrapporre ragionamenti ed evidenze articolate, magari fondate su dati verificabili. Un simile approccio non fa parte della cultura italiana che preferisce contrapposizioni ideologiche e posizioni liquidatorie.
In questo ambito non per caso non trovano spazio i rappresentanti delle scienze naturali, quasi sempre portatori di proposte concrete (si veda la lettera del prof. Scalabrino) o delle scienze sociali, abituati a discutere della realtà sulla base di dati generalizzabili, di verifiche empiriche, di confronti tra realtà diverse. Al riguardo, il dibattito in corso prescinde sia dall' analisi di altri sistemi europei, sia dalla formulazione di ipotesi alternative all'esistente, sia - soprattutto - dall'identificazione delle funzioni attribuite-attribuibili all'istruzione superiore nella società moderna.
Naturalmente si tratta di un modo faticoso, impopolare e poco eccitante di affrontare il tema. Più semplice seguire le due strade oggi ben battute: quella di frammentare la discussione su aspetti magari importanti ma particolari (il tema dell'età pensionabile) ad usum di interessi categoriali, o quella di gridare allo sfascio irreparabile (sull'ispirazione dell'intramontabile «gli è tutto sbagliato» di Gino Bartali) sperando nella sollevazione popolare.
Forse, riguardo a tutto ciò, sarebbe il caso di domandarsi il tradizionale « a chi giova».
*Università di Milano-Bicocca