Massimo Piermarini. Secondo appuntamento del ciclo “Istruire è educare” della Flc Cgil. La lezione magistrale di Miguel Gotor, “contro l’ideologia del capitale umano”
Giovedì 6 maggio 2021 il ciclo di incontri organizzati dalla FLC-CGIL sul tema “Istruire è educare” sul senso dell’istruzione e della conoscenza oggi ha segnato una nuova tappa. Si è tenuta la lezione magistrale del prof. Miguel Gotor, docente di Storia moderna all’Università di Torino dal titolo esplicito “La scuola che verrà, contro l’ideologia dl capitale umano”. Miguel Gotor, studioso di Storia della Chiesa e di agiografia, ma anche di storia italiana del Novecento e autore di alcuni importanti saggi sul caso Moro, ha esternato, nel corso della sua lezione, una viva preoccupazione per la deriva che un certo pensiero ha intrapreso ormai da diversi anni sul tema della scuola, accettando il paradigma neoliberista della riduzione di ogni manifestazione degli individui al mercato e allo scopo capitalistico con l’obiettivo non di formare cittadini e trasmettere cultura che renda gli individui consapevoli e indipendenti, ma di formare produttori e consumatori. Il relatore si è soffermato sulle tante difficoltà e storture presenti nel panorama della scuola e dell’Università italiana, tutte in qualche modo dipendenti da questo assioma che assume l’uomo esclusivamente nella sua significazione economica, secondo un’accezione strettamente liberista.
Le circostanze legate alla diffusione del Covid hanno apparentemente posto sul tavolo delle questioni riguardanti la didattica di emergenza e sulla necessità di implementare il sistema con investimenti più robusti nell’istruzione e modalità nuove di apprendimento. Bisogna essere consapevoli che non abbiamo avuto un mondo ideale pre-Covid. La chiave delle difficoltà presenti è individuabile in una gestione sempre caratterizzata dalla subalternità a stereotipi liberisti definiti già all’inizio degli anni Ottanta, che avevano segnato una battuta d’arresto con la crisi finanziaria del 2007. Malgrado la sconfessione che hanno registrato sul piano degli eventi, tali modelli liberisti resistono all’esaurimento e costituiscono un humus, un terreno culturale in cui persiste il paradigma aziendalistico e produttivistico anche quando si parla di scuola e di educazione. Viene creata una fede fanatica in tale paradigma, ripetuto come un rosario di logiche di merito per pochi, in aperta contraddizione con l’obiettivo costituzionale della scuola democratica. Le storture sono evidenti. Così l’internazionalizzazione in campo educativo è intesa in senso burocratico. La connessione tra le università e la produzione è sempre più stretta e la formazione viene intesa riducendola immediatamente a formazione del lavoratore, secondo un paradigma produttivistico che non riconosce gli squilibri esistenti in partenza e la necessità dell’intervento su di essi. Ci si affida alla valutazione alla ricerca delle eccellenze, con una ipertrofia delle valutazioni (test INVALSI, ANVUR) che hanno già presentato alcune criticità. Si è arrivati così, in tema di educazione, ad una situazione che viene indicata come “confusione delle lingue” (E. Galli della Loggia). La formazione critica e il compito della scuola e dell’Università in Italia scivolano verso il basso mentre aumentano le disuguaglianze e abbiamo davanti a noi una patria a due velocità, fatta da una parte da iper-garantiti e dall’altra da iper-emarginati. Gli indicatori relativi al crollo del PIL trovano corrispondenza nel crollo degli iscritti (meno 10.000) all’Università.