È certamente un errore sostenere che l’unico responsabile della qualità dell’istruzione sia l’entità delle risorse impiegate. Indubbiamente, però, esiste una forte correlazione positiva tra le risorse impiegate nel sistema e la sua qualità. D’altro canto, occorre realismo. In particolare nelle attuali difficoltà finanziarie del Paese. Non è pensabile che lo Stato aumenti di 15 miliardi i finanziamenti. O anche che possa aumentare del 43% i fondi destinati alle università. Così come non ci si può attendere un intervento massiccio di risorse private. Non ci si può, però, esimere dal ragionare sulle responsabilità del cattivo risultato del nostro sistema educativo. Da un lato vi è la politica. Da anni promette a parole di incrementare l’investimento in istruzione. Nella sostanza lo riduce. Dall’altro, le università hanno commesso errori. Moltiplicazione delle sedi. Proliferazione indiscriminata dei corsi di laurea. Crescita abnorme del numero degli esami e dei corsi di insegnamento. Solo per fare alcuni esempi di ambiti in cui fare autocritica. C’è poi un altro problema. Quello del sistema di governance. È sempre possibile fare meglio sia pure con risorse scarse. Certamente, bisogna garantire innanzitutto il «giorno per giorno» delle nostre istituzioni. Manutenere le aule, pagare le bollette, acquistare gli ausili didattici, tenere in vita le biblioteche e i laboratori, garantire il diritto allo studio. D’altro canto, affinché un sistema renda al meglio, è necessario che i suoi operatori abbiano un sistema di incentivi e disincentivi. Premialità per chi si comporta meglio. Tali incentivi devono essere percepibili e rilevanti per i docenti e gli studenti. Quando si tratta di briciole essi non sono né percepibili né rilevanti. Il nostro sistema quindi non funziona bene. Non solo a causa dell’esiguità delle risorse. Ma anche a causa dell’esiguità delle risorse. Un esempio. I fondi destinati alla ricerca alla Federico II. Nell’ultimo anno la media di finanziamento pro capite ai ricercatori è stata di 3000 euro. Il criterio di ripartizione teneva conto esclusivamente del merito scientifico. Ne è conseguito per i migliori ricercatori un incremento della dotazione di 1500 euro. Sembra una cifra tale da incentivare lo sforzo, l’impegno e, di conseguenza, la qualità? Eppure, negli atenei italiani si continua a fare dell’ottima ricerca. I risultati ottenuti dai nostri ricercatori sembrano a volte miracolosi. Ciò è testimoniato da dati oggettivi. Internazionalmente riconosciuti. Le motivazioni sono però fortemente individuali. Legate alla passione del singolo per l’attività di ricerca e di insegnamento. Non derivano da meccanismi di premialità. Un tale modello mostra la corda. Una visione dell’insegnamento e della ricerca basata sulla motivazione «missionaria» non è più sufficiente. Servono altri meccanismi di governance per migliorare la qualità. Troppi automatismi. Poco spazio al merito individuale e collettivo. Come si sceglie un sistema di governance ottimale? Individuando i soggetti nel cui interesse il sistema deve agire. Nel caso dell’istruzione questo soggetto è il sistema Paese. La sua competitività. Il suo benessere non solo materiale. Il suo livello di civiltà. Dipendono dalla qualità del sistema di istruzione. Credo sia giunto il tempo di affrontare il problema con energia. Sia chiaro. La decadenza del sistema di istruzione anticiperebbe la decadenza dell’intero Paese. Occorre investire risorse (compatibilmente con la situazione finanziaria). Introdurre vincoli e regole. Valutare i risultati delle risorse investite. Attuare un serio meccanismo di incentivi e disincentivi teso a far crescere la qualità dei risultati. Guido Trombetti
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