Meno scuola, più impresa
Con la nuova filiera tecnico-professionale percorsi di quattro anni, più alternanza e apprendistato. Pistorino, Flc: l'istruzione non è addestramento al lavoro
Stefano Iucci
Meno tempo scuola e un percorso che odora di differenziazione classista. Anche se il ddl ancora non c’è, le anticipazioni e le illustrazioni blandamente descrittive del ministro Valditara non lasciano molti dubbi sulla “nuova” filiera dell’istruzione tecnico-professionale. Un altro decreto “fantasma”, insomma, come quelli sulla valutazione della condotta e sul dimensionamento scolastico che in ogni caso lascia vedere con una certa nettezza l’ideologia che ne è alla base e che l’esecutivo non intende discutere con i sindacati.
“Anche per questo la scorsa settimana abbiamo abbandonato il tavolo – commenta Graziamaria Pistorino, segretaria nazionale Flc Cgil –. Ci avevano convocato per discutere del ddl, peccato che il ddl non c’era. Ci hanno ripetuto le vaghe affermazioni dell’incontro dell’8 giugno. Ma a che cosa servono allora questi incontri”?
Comanda il mercato
Ma in cosa consiste, nelle linee generali, questo progetto? La sperimentazione, che partirà dal 2024, prevede un coinvolgimento del 30% massimo degli istituti tecnici e professionali, e degli IeFp, cioè i percorsi regionali di formazione professionale. I percorsi avranno la durata di quattro anni, con un rafforzamento dell’apprendistato di primo livello (dopo i 15 anni) e – non fossero bastati gli incidenti mortali di questi anni – dei Pcto, cioè la nuova alternanza scuola-lavoro. Non potevano mancare, ovviamente, i docenti esterni provenienti dal mondo produttivo, come se essere capaci di insegnare fosse una competenza facilmente acquisibile.
Non è di questo avviso la Flc Cgil. “Ancora una volta – riprende Pistorino – si confonde l’istruzione con l’addestramento professionale legato alle esigenze delle imprese”. Nel dettaglio questa impostazione appare evidente nell’estensione, anziché nella revisione radicale, dell’alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato di primo livello, che ha chiaramente l’intento di canalizzare precocemente i giovani verso il lavoro già al termine della scuola secondaria di primo livello, cioè prima dell’adempimento dell’obbligo scolastico.
Un’impostazione tutta rivolta al mercato che appare evidente anche nell’istituzione del liceo del made in Italy e dall’enfasi sui tutor esterni che vengono dal mondo delle imprese: “Ma noi abbiamo bisogno di insegnanti capaci di formare a competenze complesse e generalizzabili, non di esperti delle singole attività produttive – osserva Pistorino –. La scuola deve insegnare ad avere capacità critica anche rispetto al lavoro che si svolgerà nella vita e, soprattutto, a essere cittadini consapevoli”.
Meno tempo scuola
Per la sindacalista “il governo punta a costruire un percorso specifico e accorciato per coloro che non sono destinati all’università. Ma il governo sa che in Italia occorre alzare il numero dei laureati? E poi, questa segmentazione quali effetti produce a livello sociale? La canalizzazione precoce rischia di trasformarsi in un percorso-ghetto per chi ha più difficoltà di apprendimento?”.
La contestazione più forte mossa dalla Flc è infatti che il progetto parte con una riduzione del tempo scuola, che invece sappiamo essere elemento dirimente per la lotta all’abbandono scolastico. E lo fa rilanciando il modello già utilizzato per la sperimentazione del liceo in quattro anni. “Una sperimentazione che si è rivelata fallimentare – ricorda la dirigente sindacale –. Basti pensare che solo 98, tra le iniziali 192 scuole che aderirono alla sperimentazione, hanno confermato il percorso quadriennale. Così come sono molto pochi gli studenti che scelgono l’apprendistato di primo livello: secondo il rapporto Inapp del 2022 sono solo il 2,1% del totale. Insomma: si tratta di scelte che le famiglie italiane non fanno”.
Il ruolo dell’Invalsi
È uno degli aspetti più controversi del disegno. Per accedere ai due anni degli Its Academy, a differenza dai loro colleghi dei percorsi statali, i ragazzi e le ragazze che provengono dalla formazione professionale regionale, anziché sostenere un esame di stato verrebbero valutati da una certificazione dell’Invalsi. “È un fatto gravissimo – attacca Pistorino –. Si tratta di un’operazione di scardinamento del sistema ordinamentale e che ha come risultato un forte indebolimento del valore legale del titolo di studio”. In questo modo, infatti, non sarà più l’istituzione scolastica a certificare le competenze acquisite con l’esame di Stato, ma un ente terzo, fuori dal sistema nazionale di istruzione.
Infine, ma non da ultima, c’è una questione sindacale. “Il ministro – conclude Pistorino – ci ha assicurato che non vi sarà riduzione di organico, ma come si fa se il percorso di studi viene accorciato di un anno?”. Tanti temi di cui discutere, ma su cui senza un testo è difficile confrontarsi, nonostante il ministro Valditara, come spesso fa, abbia anche stavolta detto che “Regioni e parti sociali avranno un ruolo strategico nel decollo e nell’attuazione di questa sperimentazione”.