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Messaggero: Assumi? Perdi i fondi per gli atenei virtuosi:«Noi rettori costretti a tagliare i ricercatori»

I giovani “cervelli” già annunciano proteste. La Crui: così il sistema universitario crolla

02/10/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE
ROMA - Comincia oggi l’autunno nero dei ricercatori. I fondi sono pochi e le assunzioni, che già venivano fatte con il contagocce, hanno subito una brusca frenata. «Il governo parla di ricambio generazionale e di meritocrazia, ma alle parole non seguono i fatti», accusa Marco Merafina, leader del Coordinamento nazionale dei ricercatori “strutturati”, bombardato dagli Sos inviati dai giovani in attesa di un contratto. «Le università hanno congelato molti bandi - continua Merafina - Non se la sentono di assumere, è tutto fermo. Perciò parte la mobilitazione e presto ci sarà una ripresa della protesta».
Gli atenei non hanno soldi e incombono pesanti tagli che dai 702 milioni di euro del 2010 dovrebbero raggiungere nel 2011 gli 835 milioni (cifre decise con la manovra finanziaria dello scorso anno), tagli che i rettori hanno chiesto al governo di ripensare. Nel frattempo il clima è molto teso anche se i ministri Gelmini e Tremonti stanno esaminando la possibilità di ridimensionare la sforbiciata e ieri il premier Berlusconi ha detto che una parte dello scudo fiscale servirà a finanziare l’università. Però nell’incertezza gli atenei sono bloccati. I contratti per i nuovi ricercatori prevedono il co-finanziamento, 50% del Miur, per il resto fondi di ateneo. «Ma è proprio qui che frana tutto, dei 40 milioni di euro stanziati molti restano inutilizzati», sostiene Francesco Mauriello, presidente dell’Associazione nazionale dottorandi. Ma dov’è l’intoppo? «Le università per avere i ”premi” (500 milioni di euro, ndr) - sottolinea ancora Merafina - non devono impegnare più del 90% del Fondo per le spese di personale. Così, tra chi ha già superato il tetto, e chi rischia di farlo assumendo poche unità in più, i ricercatori restano al palo». Risultato: anche se le intenzioni sono quelle di spingere le università a spendere in modo più oculato i fondi statali per le incongruenze del sistema siamo alla paralisi.
Il guaio è che l’Italia destina alla ricerca solo l’1% del Pil. Dice Antonio Baroncelli, dell’Associazione nazionale dirigenti di ricerca, da anni all’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare: «I fondi sono gravemente insufficienti, se almeno i provvedimenti legislativi arrivassero, senza troppi rinvii, forse si riaprirebbe qualche spiraglio». Baroncelli denuncia anche «l’invecchiamento» della comunità scientifica mentre i giovani restano fuori della porta.
«Per ora non siamo in condizione di dare prospettive - racconta il rettore della Federico II di Napoli, Guido Trombetti - qualche speranza ai miei forse potrò darla quando i più anziani andranno in pensione. Però il quadro è nero, le università del Sud sono tra le più penalizzate».
«In questa situazione i giovani migliori fanno le valigie - ammette Renato Lauro, rettore di Tor Vergata - Il problema è che non valorizziamo i nostri talenti e non avendo molto da offrire loro guardano al mercato estero, appetibile e con stipendi più alti. Scontiamo l’assenza di controlli e la mancanza di meccanismi di premiazione».
Ma qual è il quadro complessivo? In metà delle regioni le università sono sottofinanziate, tanto da creare «una situazione iniqua e insostenibile». La denuncia è dell’associazione Aquis, che raggruppa gli atenei di “qualità”. Stessa denuncia dalla Conferenza dei rettori, la Crui: «Più risorse o il sistema universitario crolla, non siamo in grado di sostenere i tagli paventati dal governo». Però le università non hanno la coscienza immacolata. Sono ”fabbriche di nepotismo” e sono controllate da lobby di potere che non si lasciano sfuggire la cooptazione dei loro protetti. «Per questo i concorsi in atto altro non sono che una ”proroga” del blocco che solo apparentemente è stato cancellato», sostiene Nunzio Miraglia, dell’Andu, l’Associazione nazionale docenti universitari.
Sullo stato delle finanze esprime preoccupazioni anche il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio: «Per fortuna gli atenei non sono aziende, altrimenti chiuderebbero per bancarotta. Se non ci saranno date risposte, se non arriveranno risorse - sostiene il rettore - molte università non saranno in grado di chiudere i bilanci, nè di assicurare il pagamento degli stipendi al personale. Un declino progressivo fino a compromettere l’erogazione di servizi essenziali. Forse chi è più in difficoltà, rinunciando a ogni forma di investimento, potrebbe resistere un anno, ma poi...». In allarme anche il Comitato di Coordinamento delle Università del Lazio (Crul), presieduto da Guido Fabiani, rettore di Roma Tre. «Si apre una complessa fase di confronto sui temi della riforma in assenza di prospettive reali di sviluppo», osserva il Coordinamento, che per dimensioni e numero di docenti e studenti rappresenta una delle maggiori realtà del Paese. Poi aggiunge: «Le decisioni sui finanziamenti 2009 hanno disegnato una situazione molto difficile e del tutto insostenibile».
Intanto, continua la fuga dei cervelli. Ne partono migliaia l’anno, ne importiamo poche unità. Dopo una formazione di altissimo livello, dopo anni di lavoro, molti i delusi che scappano all’estero alla ricerca del merito negato. L’ultimo caso clamoroso è stato quello di Antonio Iavarone e Anna Lasorella, due ricercatori di grande livello e prestigio internazionale, che, per non essere più vittime del «nepotismo baronale», si sono trasferiti qualche anno fa negli Stati Uniti, alla Columbia University di New York. Così la loro scoperta del gene anti-cancro, annunciata un mese fa, non è targata made in Italy