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Messaggero: Ci salva solo la ricerca

Sfide che potranno essere fronteggiate solamente attraverso un continuo investimento nella ricerca scientifica e nella preparazione a definire ed allestire possibili scenari, che prendano in considerazione ricadute anche inattese, alla scala ormai globale, supportate da una tecnologia adeguata.

20/04/2010
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Il Messaggero

di VALERIO ACOCELLA
SE non fosse per il recente crack del sistema bancario, buona parte della popolazione europea avrebbe sentito parlare ben poco dell’Islanda. Eppure, l’Islanda è la causa della permanenza forzata a terra di circa 7 milioni di persone, da ormai quattro giorni.
Effettivamente, l’Islanda è sempre stata ai margini dell’Europa; per qualcuno non è nemmeno Europa. In realtà, almeno la metà orientale dell’isola è certamente Europa. È la parte che appartiene alla zolla eurasiatica, che si allontana lentamente, ma inesorabilmente, circa 1 centimetro all’anno, dalla placca contigua nordamericana, cui appartiene la metà occidentale dell’isola. Un’isola nata quindi dall’allontanamento delle due placche, nell’unica porzione emersa della cosiddetta dorsale oceanica atlantica, una gigantesca frattura che congiunge i due poli del nostro pianeta. In Islanda l’allontanamento delle due placche richiama magma, che alimenta l’attività vulcanica, con un’eruzione in media ogni cinque anni.
È proprio a causa di una di queste eruzioni che 7 milioni di persone sono rimaste a terra. Il vulcano in questione, l’Eyjafjallajokull, non è tra i più noti nell’isola, anche perché coperto da un ghiacciaio. E non è nemmeno tra i più esplosivi (il magma che lo caratterizza è in generale molto fluido) o energici (l’eruzione in corso può essere considerata di modesta entità). Tuttavia, la tipologia di magma recentemente eruttato, unitamente al parziale scioglimento del ghiacciaio (che ha prodotto una grande quantità d’acqua), hanno aumentato l’esplosività dell’eruzione in modo inatteso. Ciò ha provocato la ormai nota nube di cenere, che sfiora dieci chilometri di altezza.
Un cocktail apparentemente poco prevedibile, ma decisamente efficace, anche se con illustri precedenti, non solo nel mondo, ma nella stessa Islanda. Come durante la ben più potente eruzione del vulcano Laki, nel 1783, quando la nube eruttiva si spostò sull’Europa, causando decessi per avvelenamento, severe variazioni climatiche, carestie e povertà, probabilmente preparando il terreno alla Rivoluzione Francese, sei anni più tardi.
Stavolta siamo stati decisamente più fortunati: un po’ d’acqua dentro un vulcano ha completamente paralizzato per giorni il traffico aereo di un continente, fino ad oltre tremila chilometri di distanza. Un bel colpo, certamente. Che ci fa riflettere.
Riflettere innanzitutto su quanto sia vivo il nostro pianeta, certamente capace di dispiegare in campo forze poderose. Tuttavia, e in questo risiede l’aspetto più bizzarro della storia, a volte non è necessario arrivare ad eventi estremi per avere conseguenze imprevedibili e disastrose. Basta una modesta eruzione, un po’ di ghiaccio, condizioni meteorologiche tutto sommato ordinarie (venti con direzione orientale), ed il danno è fatto. A dispetto delle nostre non certo inadeguate conoscenze sui vulcani e meccanismi eruttivi, e sugli efficaci sistemi di monitoraggio che allestiamo.
Un’altra riflessione andrebbe poi fatta sulla capacità, ormai sempre più ridotta, del nostro pianeta di circoscrivere ed assorbire gli eventi naturali. In un mondo sempre più popolato, sempre più globalizzato, diventa sempre più facile far ricadere gli effetti di un processo naturale, come un’eruzione, su una parte sempre più consistente di popolazione. Con una ricaduta a domino, che, nel nostro caso coinvolge dapprima i passeggeri, poi le compagnie aeree, poi gli altri mezzi di trasporto, per arrivare infine alle ripercussioni economiche alla scala del continente, definite come aventi un “impatto peggiore di quello derivante dall’attacco alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001”.
Sono queste alcune delle sfide che saremo costretti a raccogliere nei prossimi decenni. Sfide che potranno essere fronteggiate solamente attraverso un continuo investimento nella ricerca scientifica e nella preparazione a definire ed allestire possibili scenari, che prendano in considerazione ricadute anche inattese, alla scala ormai globale, supportate da una tecnologia adeguata.
Valerio Acocella
Geologo, Università Roma Tre
Annibale Mottana,
Geologo, Accademico Lincei