Messaggero: Dialetti a scuola: apertura della Gelmini
Il ministro: «Non sono contraria allo studio della storia locale». Bastico (Pd): «Pressioni dalla Lega»
di GIULIA ALESSANDRI
ROMA - Italiano, matematica, geografia, inglese e, perché no, anche un po’ di studio della storia e delle tradizioni locali, dialetti compresi. Cambia la scuola italiana e vira verso un’impronta più “federalista”. I programmi, infatti, dal 2010 potrebbero avere un occhio di riguardo per tutto ciò che ha a che fare con l’ambito territoriale. Lo ha fatto capire ieri il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. A Cernobbio, incalzata dai cronisti, la titolare della Scuola è tornata sulla polemica più rovente dell’estate: l’introduzione dello studio del dialetto tra i banchi, una richiesta di matrice leghista.
A metà agosto il ministro per le Riforme Umberto Bossi insieme ad un altro esponente di ferro del Carroccio, Roberto Calderoli, aveva annunciato: la Lega ha già in mano una bozza di legge sui dialetti a scuola. Il coro di critiche era stato immediato e bipartisan, anche il ministro, all’inizio, aveva chiuso sull’argomento. Pochi giorni fa, al meeting di Rimini di Cl, Gelmini ha accantonato la questione: «Non mi soffermerei troppo sul dialetto», aveva detto riconoscendo, comunque, l’importanza della «trasmissione» dei valori e della cultura locale. Ieri, invece, il ministro, pur ripetendosi nella sostanza, ha mostrato una maggiore apertura spiegando che viale Trastevere, nel 2010, dovrà rimettere mano ai programmi scolatici e, in quella sede, potrebbe essere inserito lo studio della storia locale, che, per Gelmini, non esclude i dialetti.
«Quando verranno modificati i programmi - ha spiegato il ministro - non ho alcuna contrarietà a fare in modo che lo studio della storia includa la storia locale. Sul dialetto si è fatta una polemica estiva forse anche sovradimensionata. Se questo rientra nello studio della storia e delle tradizioni locali non credo si debba polemizzare. I problemi della scuola sono altri». Probabilmente Gelmini ha trovato conforto nelle varie esperienze locali, da Torino a Genova, fino ad arrivare alla Sicilia, di scuole che già insegnano le lingue del territorio ai loro ragazzi, magari sotto forma di gioco, quando si tratta di bambini piccoli. Chi sta dall’altra parte, nelle file dell’opposizione, invece, vede nell’apertura del ministro un segnale di cedimento alla “minaccia” leghista. «La Gelmini non resiste alle pressioni del Carroccio», commenta Mariangela Bastico, responsabile scuola del Pd ed ex vice ministro all’Istruzione. E aggiunge: «È l’invadenza della Lega che porta il governo a questi stop-and-go: al meeting di Rimini sembrava che il ministro avesse chiuso con questo tema dei dialetti, ora quasi ci ripensa. Peraltro la Gelmini mostra una visione della scuola centralistica: già molti istituti fanno progetti di conoscenza del territorio grazie alla quota di orario che è in mano all’autonomia. Il ministro ora vuole ricondurre tutto all’interno di programmi ministeriali centrali che sono un retaggio del passato: persino la Moratti aveva parlato solo di indicazioni nazionali. E poi come si fa a tagliare come ha fatto la Gelmini e a dire che vuole introdurre anche lo studio della storia locale? Oggi i progetti che esistono in tal senso rischiano di saltare per mancanza di docenti». L
La partita del dialetto, dunque, resta aperta e si giocherà ancora nei prossimi mesi. La Lega sarà inevitabilmente protagonista. Prima della chiusura della aule parlamentari, a luglio, il Carroccio si era già fatto sentire chiedendo anche test di cultura regionale da far fare ai professori prima dell’assunzione. Poi è scoppiata la richiesta del dialetto in classe, che potrebbe concretizzarsi con la richiesta di apertura di un dibattito in Parlamento.