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Messaggero: Ecco la vera riforma Brunetta: c'è anche la classifica degli statali bravi e non bravi

Così prevede la bozza del decreto che il ministro Renato Brunetta e i suoi collaboratori stanno per portare in Consiglio dei ministri

30/04/2009
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Il Messaggero

di Pietro Piovani

ROMA (29 aprile) - Ogni anno il 25% dei dipendenti dovrà accontentarsi del salario base, senza neanche un centesimo di incentivo di produttività. E ogni anno verrà stilata la classifica dei dipendenti pubblici: in ciascuna amministrazione si farà una graduatoria dei dipendenti, dal più bravo al meno bravo. Sulla base di questa classifica si decideranno gli stipendi e le carriere.
Così prevede la bozza del decreto che il ministro Renato Brunetta e i suoi collaboratori stanno per portare in Consiglio dei ministri. Sarà un provvedimento destinato a cambiare radicalmente le regole del pubblico impiego italiano, una riforma confrontabile con il famoso decreto 165 scritto nel 2001 da Franco Bassanini. Leggendo il testo si capisce che gli obiettivi di Brunetta sono due: primo, ridurre il potere di intervento dei sindacati, che d'ora in poi avranno molta meno voce in capitolo sui salari, sulle norme disciplinari, sull'organizzazione del lavoro; secondo, obbligare le amministrazioni a distribuire le risorse in modo molto differenziato, cioè dare tanti soldi ad alcuni e pochi ad altri.
Il salario accessorio. Già da molti anni nel pubblico impiego è stata introdotta la “produttività”, cioè una parte di stipendio che non è fissa e uguale per tutti, bensì è legata ai risultati ottenuti. Si chiama “salario accessorio”, ed è stato creato (con il consenso di tutti i maggiori sindacati) nell'intento di favorire l'impegno del personale e ottenere più l'efficienza. Almeno in teoria, perché nella pratica è successo che alcune amministrazioni hanno usato questo strumento con accortezza e intelligenza, altre invece hanno distribuito soldi a pioggia o peggio ancora con criteri clientelari. È per rimediare alla prima disfunzione (i premi a pioggia, uguali per tutti) che il decreto vuole istituire le classifiche del merito. Al termine di un anno di lavoro, tutto il personale viene giudicato secondo i risultati individuali e si crea così una graduatoria. Il 25% dei dipendenti che si trovano ai primi posti della classifica riceve il premio intero. Il 50% della fascia centrale avrà il premio dimezzato. Infine il 25% che finisce in fondo alla classifica non avrà niente. Detto in altro modo, su quattro dipendenti ce ne saranno due con il salario accessorio normale, uno che lo riceverà raddoppiato e uno che invece non vedrà neanche un centesimo. È un sistema adottato già in alcune amministrazioni italiane (per esempio all'Agenzia del Territorio è in vigore da tempo un meccanismo di differenziazione molto sofisticato). Ora diventa obbligatorio per tutti.
Chi decide le classifiche. Le bozze del decreto che circolano in questi giorni sono ancora poco chiare su un punto: chi sarà a dare i voti in pagella? Alcuni articoli del provvedimento prevedono che la formulazione delle graduatorie spetti a un apposito “Organismo per la valutazione”: una specie di commissione che dovrà nascere in ogni amministrazione, nominata dal responsabile politico (il ministro, il sindaco, eccetera). In altri passaggi del testo però si legge che il compito di giudicare il lavoro dei dipendenti spetta ai dirigenti loro diretti superiori. Questo punto verrà probabilmente chiarito nei prossimi giorni.
Le carriere. Le classifiche non serviranno solo a distribuire il salario accessorio. Il giudizio annuale inciderà anche sulle promozioni, gli avanzamenti economici, l'assegnazione di incarichi, l'accesso a corsi di formazione. Saranno inoltre istituiti alcuni premi speciali: uno si chiamerà “bonus delle eccellenze”, un altro “premio all'innovazione”. I primissimi classificati di ciascuna amministrazione potranno anche candidarsi a una sorta di selezione nazionale, per ottenere un ulteriore premio.
Nuovi organismi. La riforma istituisce una serie di organismi che fino a oggi non esistevano. Ci sono gli Organismi di valutazione, di cui si è detto sopra. Poi ci sono i Comitati dei garanti, che devono esprimere un parere ogni volta che un dirigente viene rimosso dall'incarico. Infine c'è la già annunciata Autorità indipendente per la valutazione (che nella legge delega era annunciata come una semplice “agenzia”, ma ora nel decreto sembra essere stata promossa ad authority). L'Autorità costerà ai contribuenti ben 4 milioni l'anno, e i suoi cinque membri nominati da governo e Parlamento riceveranno uno stipendio di 300 mila euro l'anno.
I sindacati. Quando il decreto entrerà in vigore i sindacati del pubblico impiego conteranno molto meno di prima. Lo spazio della contrattazione viene ridotto, molte cose saranno decise per legge. Per i contratti nazionali diventa vincolante il parere della Corte dei conti, mentre gli accordi integrativi raggiunti nelle singole amministrazioni potranno essere bocciati dal ministro della Funzione pubblica. Non solo, ma per le norme siglate nei contratti costituirà in qualche modo un limite anche “l'autonoma decisione definitiva” del dirigente. Viene infine istituita una regola di incompatibilità fra attività sindacale e dirigenza: gli ex sindacalisti non potranno essere nominati alla guida di un ufficio, né potranno entrare nei vari organismi di valutazione.
Contratti. La bozza del decreto Brunetta prevede una riduzione molto drastica del numero di contratti nazionali: resterebbero soltanto due grandi accordi, uno per lo Stato centrale e un altro per le amministrazioni decentrate. In altre parole non esisterebbe più il contratto della scuola, perché verrebbe unito a quelli dei ministeri, delle agenzie fiscali, degli enti previdenziali. Né ci sarebbe più il contratto della sanità, accorpato a quello di comuni, province e regioni. All'interno dei due grandi accordi nazionali però si dovrebbero prevedere delle “sezioni”, per salvaguardare le “specificità” di ciascun comparto.
I tempi del decreto. Il provvedimento di cui stiamo parlando è un decreto legislativo, quindi segue un iter semplificato. Brunetta potrebbe presentarlo in Consiglio dei ministri la prossima settimana, dopo di che dovrà ottenere soltanto un parere dalle commissioni parlamentari per poi diventare esecutivo.