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Messaggero: Il no di presidi e sindacati: proposta folle

Aspiranti docenti, 2 su 3 sono meridionali

30/07/2009
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Il Messaggero

ROMA - Fra gli aspiranti docenti, due su tre sono meridionali. Sono così determinati a voler entrare nella professione che in barba a tutte le resistenze verso la mobilità, sono anche disponibili a trasferirsi, magari al Nord. Una costante che emerge dai dati forniti nei vari anni dal ministero dell’Istruzione, università e ricerca. Dati che evidenziano come nelle graduatorie ci sia una crescita della percentuale di iscritti (lo scorso anno erano oltre 237 mila) d’origine meridionale: dal 66,4% (2006) al 67,5% (2007) a circa il 69% (2008). Inoltre, emerge che il 21% degli aspiranti docenti è iscritto in una provincia diversa da quella di residenza. Fra questi, il 59% (circo 29 mila) sono residenti al Sud ed optano per graduatorie del centro-nord. Ma non solo. Il confronto fra il 2006 e il 2007 indica un sensibile calo degli iscritti in tutte le province del Nord (salvo Padova e Piacenza) nonché in Toscana e Sardegna. Tale flessione è speculare ad un aumento generalizzato al meridione (+11% al Sud, +7% in Sicilia). In Lombardia e in Piemonte si osservano le riduzioni più consistenti (-15% e -17%).
Rimarca il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo che senza docenti e dirigenti di origine meridionale, sarebbero tante le cattedre e le scuole del Nord senza professori e senza presidi. Con un danno proprio per la scuola del Nord. Per Giuseppe Mascolo segretario dell’Ugl Scuola, «la scuola pubblica rappresenta un punto di riferimento, uno strumento di coesione sociale che va rafforzato e valorizzato. La salvaguardia delle tradizioni culturali, anche attraverso i dialetti, non deve determinare ulteriori divisioni tra Nord e Sud».
Giudica la proposta della Lega, che chiede di far effettuare ai docenti test di conoscenza del dialetto e della cultura del territorio dove vogliono andare a insegnare, di dubbia costituzionalità oltreché «irrealistica», il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado che aggiunge «se l’obiettivo è quello della qualificazione professionale, non è certo questo il modo per raggiungerlo». Occorrerebbe, piuttosto, vigilare sull’erogazione dei titoli di studio da parte degli atenei. A parte «la costituzionalità assai dubbia», «a mio avviso è assolutamente irrealistica, perché ci ricondurrebbe alla necessità di individuare sul territorio, per tutte le materie, tutti i docenti che occorrono per insegnare». Inoltre, sostiene Rembado, «se l’obiettivo è quello della qualificazione professionale, questo non si raggiunge con la verifica della conoscenza della cultura locale e del dialetto».