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Messaggero: La ricerca al Sud si “impantana”, cervelli in fuga verso il Centro-Nord

Prima partiva un laureato su 4, ora il 38%. La Gelmini: devono tornare

25/01/2010
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Il Messaggero

di VALENTINA ARCOVIO

ROMA - Abbandonano amici e famiglia per trovare fortuna lontani dalla propria terra. Non sono solo scienziati in fuga all’estero, ma cervelli brillanti che lasciano il Sud Italia per realizzare i loro progetti al Centro o al Nord. Un flusso migratorio che va avanti ormai da decenni e che nessun piano speciale per il Sud è riuscito a fermare. Sono tanti, forse troppi: tra il 1997 e il 2008 hanno lasciato il meridione in 700 mila; ben 122 mila si sono trasferiti nel Centro-Nord contro un flusso di rientro di sole 60 mila persone. Stando al rapporto dell’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno (Svimez) a trasferirsi sarebbero perlopiù laureati. Nel 2008 hanno abbandonato il Nord ben 173 mila giovani qualificati, la metà dei quali ora ha un lavoro di alto livello. «Questo flusso migratorio - spiega Luca Bianchi, vicepresidente di Svimez - riguarda soprattutto laureati in materie scientifiche che non hanno possibilità di lavoro nella loro terra». Ingegneri, biologi, medici, genetisti, tutti con curricula diversi ma con un’unica possibilità di fare carriera: lasciare il Sud. L’ 87% di questi “fuggiaschi” ha lasciato tre regioni: Campania, Puglia e Sicilia.E la tendenza è in continua crescita. Se nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti, tre anni dopo la quota è salita al 38%. Il perché è presto detto. Basta guardare i dati dell’ultima rilevazione Istat sugli investimenti in Ricerca & Sviluppo. Sui 18.231 milioni di euro spesi dall’Italia, il Nord-Ovest è responsabile del 36,8%, seguito dal Centro con il 23,5%, dal Nord-est con 22,1% e dal Mezzogiorno con solo il 17,6%. Le Regioni più virtuose, che da sole danno conto del 49,2% della spesa nazionale per R&S, sono Piemonte, Lombardia e Lazio. Merito, soprattutto, del contributo delle imprese, assenti al Sud. «Nel Meridione la ricerca - spiega Bianchi - è finanziata per circa l’80 per cento da fondi pubblici, europei e nazionali. Solo un restante 20 per cento è finanziato da privati». Questo significa che, in tempo di crisi e tagli, le risorse che il Sud investe nei cervelli sono davvero scarse. Lo sa bene il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: «Ci impegneremo per il Mezzogiorno - ha promesso - affinchè i grandi cervelli del Sud possano dare un contributo alla loro terra ». Eppure, dopo anni di finanziamenti speciali, e ora un piano apposito per il rilancio del Sud, la situazione non è cambiata. «Se non si inverte la tendenza - conclude Bianchi - è possibile che il Sud in futuro non riesca a svilupparsi per mancanza di personale qualificato».