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Il ministro: commissioni miste, premi e borse di studio agli studenti più bravi

06/08/2006
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Prima di andare in vacanza il governo Prodi ha lanciato un segnale anche alla scuola. Dopo le voci delle ultime settimane di chi temeva che l’istruzione dovesse accontentarsi di un profilo dimesso, il Consiglio dei ministri ha approvato la prima riforma del ministro Giuseppe Fioroni. Più rigore, con il ritorno al 50% di membri esterni nelle commissioni, riconoscimento del merito con premi e borse di studio ai più bravi, conferma del valore legale del titolo di studio, questi alcuni dei punti principali. Tornano anche il giudizio e il voto di ammissione, anch’essi travolti dall’impeto di chi aveva svuotato di contenuto l’esame e tornano misure più severe nei confronti degli esamifici che, con tanta disinvoltura, avevano finito di scardinare il senso delle prove finali. Anche i punteggi cambieranno: «Il credito scolastico passerà da 20 a 25 punti e il colloquio scenderà da 35 a 30 punti», sottolinea il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni. Ma sui punteggi per ora si tratta di un ritocco, successivamente, dopo l’approvazione del disegno di legge in Parlamento, ci sarà un decreto complessivo di riordino.
L’esame di maturità ha ottantatrè anni. Ha collezionato tre riforme e una quarta in arrivo. Da sempre, da quando lo introdusse Giovanni Gentile in epoca fascista, nel 1923, è considerato uno dei segnali più inequivocabili del tipo di scuola che un governo vuole dare al Paese. Concepito inizialmente per selezionare la futura classe dirigente, all’origine riguardava solo i licei che aprivano le porte dell’università. Voto di ammissione, commissari esterni (quasi sempre universitari), quattro scritti e prove orali su tutte le materie degli ultimi tre anni garantivano il rigore (solo il 25% dei candidati fu promosso nelle prove del 1924). Poi, è diventato l’esame della scuola di massa e ha cambiato volto. Guido Gonella, nel 1951, è stato il primo a stemperare tanta severità con l’introduzione prima di due membri interni, poi soltanto uno. E’ però il Sessantotto a provocare il primo vero terremoto e la contestazione spinge Fiorentino Sullo, nel 1969, a semplificare l’esame, ridimensionato le prove a due scritti e due orali, di cui una a scelta del candidato. Avrebbe dovuto avere una validità sperimentale di due anni, ne durò invece 30. Il rigore torna nel 1997 con Luigi Berlinguer, che porta gli scritti a tre e ripristina gli orali su tutte le materie dell’ultimo anno, con commissioni per la prima volta formate al 50% da membri interni. Nel 2001 Letizia Moratti estremizzò questo aspetto e le commissioni diventarono tutte interne. «Con gli esami affidati ai professori di classe il valore legale del titolo di studi veniva di fatto vanificato», sostengono i sindacati.
Ora, con la strategia del “cacciavite”, il ministro della Pubblica Istruzione Fioroni ha incassato il suo primo “sì” in Consiglio dei ministri. Se per il centrosinistra il ddl sulla maturità è un altro fiore all’occhiello, per il centrodestra, che difende la riforma Moratti, il provvedimento approvato ieri da Palazzo Chigi «non ha alcun merito». «Finalmente viene restituita dignità a questo esame», sostiene Alba Sasso, dell’Ulivo, vicepresidente della Commissione cultura alla Camera. Di segno opposto il commento di Valentina Aprea, ex sottosegretario del governo Berlusconi, e ora responsabile scuola di Forza Italia: «E’ uno sconcertante ritorno al passato, con un rigore fasullo e demagogico», mentre An presenta un proprio disegno di legge.
Novità anche sul fronte universitario. «Meno frammentazione didattica», promette il ministro Fabio Mussi, che dopo averlo sospeso ha definito il nuovo decreto sulle classi di laurea.