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Messaggero: Tecnici, si studieranno i dialetti e le regole per i colloqui di lavoro

Verso le linee guida: l’Italiano comprenderà le lingue locali. Ed è polemica

04/05/2010
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Il Messaggero

ROMA - Negli istituti tecnici accanto all’italiano scritto e parlato ci sarà il dialetto. Anzi, i dialetti, dalla Lombardia alla Sicilia con tutte le possibili varianti. Nasce la scuola di campanile? Forse. Tra i banchi non ci sarà soltanto la lingua unitaria, l’italiano, ma anche le lingue locali. Per ora siamo al livello di proposta. Il ministro Gelmini non si è ancora espresso ma il gruppo di lavoro incaricato di definire le linee guida dei nuovi programmi per geometri, tecnici informatici, periti industriali, esperti di turismo e quant’altro ha aperto un varco. «Gli studenti non potranno prescindere - è scritto in una scheda redatta dal gruppo - dalla conoscenza dell’italiano contemporaneo, della diversità tra scritto e parlato, e non potranno prescindere anche dalla conoscenza del rapporto con i dialetti».
Però sulla proposta piovono critiche. «Se il federalismo scolastico è questo non ci siamo proprio - osserva Gigliola Corduas, presidente della Federazione nazionale degli insegnanti - Gli studenti hanno già tanti problemi con la conoscenza dell’italiano che non c’è davvero bisogno di inseguire i dialetti e i particolarismi regionali. C’è bisogno, invece, di rafforzare le strutture linguistiche, dalla grammatica alla sintassi. Non dimentichiamo che stiamo perdendo l’uso del congiuntivo... e che i ragazzi sbarcano all’università o nel mondo del lavoro portandosi dietro problemi di lingua giganteschi. La proposta, inoltre, va cancellata perché renderà più difficile l’integrazione con gli stranieri, alimentando i fenomeni di esclusione e razzismo».
Della scuola italiana si diceva che dovesse essere più vicina all’Europa e preparare i giovani anche per il mercato oltre confine, non è così? Claudio Gentili, direttore Education di Confindustria, che sui tecnici ha un altissimo livello di attenzione, considera la proposta priva di ogni fondamento: «Ci dovremmo preoccupare di argomenti più seri, abbiamo abolito il concetto di competenze, cosa gravissima che ci fa tornare al nozionismo». Sconcerto tra i docenti universitari. Paolo D’Achille, ordinario di Linguistica a Roma Tre, boccia senza appello la proposta. «Un errore, il dialetto non è conciliabile. Già nella situazione attuale i ragazzi arrivano all’università con carenze spaventose. A scuola può essere mantenuta viva la memoria di certi monumenti letterari, Belli, Trilussa o altri, niente di più».
Ma un elemento positivo c’è. Diventeranno materia di studio anche le “regole per i colloqui di lavoro”. Così i ragazzi dopo il diploma saranno meno impreparati per affrontare il loro primo incontro in azienda. Che cosa prevedono i nuovi programmi? Gli insegnamenti comuni a tutti gli indirizzi saranno lingua e letteratura italiana, lingua inglese, storia, matematica, diritto ed economia e scienze integrate. Se per i licei sono disponibili già da tempo le indicazioni nazionali predisposte dalla commissione Bruschi, per gli istituti tecnici il ministero dell’Istruzione ha scelto una strada diversa: definizione delle linee guida dopo avere coinvolto centinaia di istituti tecnici, associazioni professionali e parti sociali interessate. Tra qualche giorno, spiegano a Viale Trastevere, sarà «possibile proporre emendamenti ai loro contenuti». Le proposte saranno vagliate dal gruppo di lavoro che a fine maggio dovrebbe sfornare un documento per il ministro. Intanto, spigolando tra le schede, articolate per settore, emerge che la Storia va a braccetto con l’ecologia.