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Messaggero: Tirocinio obbligatorio per i prof. In pensione le graduatorie a scorrimento, la scelta avverrà per merito

Al lavoro la commissione voluta dal ministro Gelmini per modificare i criteri di assunzione. Presto un decreto

23/02/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - La stagione delle emergenze potrebbe finire. E potrebbero finire il precariato, la scuola senza controlli e la filosofia della pura sopravvivenza. In un futuro molto vicino gli insegnanti verranno assunti dopo un periodo di tirocinio e solo in base ai risultati ottenuti. Di più. L’ingresso nel biennio specialistico degli aspiranti alla docenza sarà a numero programmato. Lo “sbarramento” ha una duplice finalità: quella di formare insegnanti sulla base del reale fabbisogno delle scuole evitando il riprodursi di sacche di precariato e quella di valutare livelli, abilità e attitudini di chi vuole salire in cattedra.

La scuola dovrà attivarsi per programmare gli organici e il sistema universitario avrà il compito di formarli. Mariastella Gelmini ha in preparazione un decreto per dettare nuove regole sulla formazione degli insegnanti e sul sistema di reclutamento. La scelta dei più bravi sarà il criterio guida. Significa che, una volta esaurite, andranno in pensione le “graduatorie a scorrimento” che tanti danni hanno prodotto alla scuola, (verranno inoltre accorpate le classi di abilitazione, che per le superiori dovrebbero passare da 70 a 40). In parte una riedizione della riforma Moratti.

La commissione presieduta dal matematico Giorgio Israel un mese fa ha depositato il piano e ora è sul tavolo del ministro. I saggi messi al lavoro dal ministro prevedono «meno pedagogia e più saperi» per formare una «figura non generica ma specificamente orientata verso l’insegnamento».

Ma quale sarà il percorso per diventare prof? Prima una laurea triennale ordinaria, seguita da una laurea magistrale il più possibile orientata alla formazione dei docenti. Il percorso dovrà concludersi «con un anno di tirocinio nelle scuole secondarie, consistente in una fase di osservazione e in una parte pratica di insegnamento attivo, sotto la guida di un “tutor”», ossia di un insegnante che accompagnerà l’aspirante anche nei corsi di didattica disciplinare, di pedagogia e di attività di laboratorio gestite dalle università assieme alle scuole, con il coordinamento affidato a una facoltà universitaria, recuperando le esperienze delle Ssis (le scuole di specializzazione dell’insegnamento secondario) ma superando i difetti che queste hanno manifestato nella riproposizione di materie già fornite dal corso di laurea.

La formazione disciplinare di un docente, dunque, dovrà avere maggior peso. Per ottenere questo i saggi hanno anche modificato il sistema dei crediti universitari, raddoppiando quelli attribuiti a materie come storia e matematica. D’altra parte non è più rinviabile il rigore. L’Italia non può restare in fondo alle classifiche internazionali, deve riguadagnare terreno e innalzare la qualità. Gridano vendetta i 9 milioni di studenti con debiti promossi negli ultimi dieci anni.

D’accordo i presidi, che per rilanciare la scuola vogliono ripartire dalla «qualità dell'insegnamento» e dalla «selezione», smettendo di rassegnarsi a «gestire il precariato». «Occorre una politica seria del personale - sostengono i capi di istituto - per garantire efficienza e risultati all'altezza degli altri Paesi europei. Da oltre otto anni non si svolgono concorsi, l'ultimo, del 2000, era a “ruoli aperti”, quindi per un esercito di gente. Si è risolto in un esame di abilitazione, che ancora oggi si porta dietro una coda di quasi duecentomila aspiranti alla nomina. La verità è che questo esercito di persone scorre lentamente verso il ruolo unicamente sulla base dell'anzianità di servizio e del trascorrere del tempo. Nessuno, purtroppo, si preoccupa di accertare merito e competenze».

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