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Messaggero: «Tornati solo 20 “cervelli”, mancavano i finanziamenti»

Lenzi, Comitato per i rientri: «Avevamo 2,5 milioni di euro per 125 richieste». E gli stranieri che scelgono l’Italia sono appena il 2%

20/08/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - «Quest’anno sono tornati in venti. Dei 125 ricercatori italiani che erano all’estero e che avevano fatto domanda per rientrare nelle nostre università ne abbiamo potuti finanziare solo una parte perché i fondi non bastavano», spiega Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale e membro del Comitato per il “rientro dei cervelli” istituito dal ministro Mariastella Gelmini. «Certo che servirebbero più soldi - continua Lenzi - Pochi mesi fa abbiamo assegnato i fondi per le domande del 2008 a ricercatori strutturati. In totale 2milioni e 500mila euro, che dovranno coprire quattro anni di stipendi e soprattutto quattro anni di ricerca. Per far tornare tutti avremmo dovuto disporre di almeno il triplo. Ma il problema dei numeri è relativo, il rientro è un ”pannicello caldo”. La cosa importante è avere un interscambio, però occorre essere ”attraenti” e per esserlo dobbiamo finanziare di più gli stipendi. Avremmo meno fughe e più arrivi». Concorda Enrico Decleva, altro membro del Comitato, e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori. «Il rientro non dovrebbe essere - sostiene il rettore Decleva - solo un piccolo rimedio per poche persone. Il piano, con più fondi, dovrebbe consentire una occasione effettiva di inserimento. Accanto agli italiani che vanno all’estero dovremmo avere stranieri che vengono in Italia, ma siamo lontani da condizioni di normalità». «A ciò si aggiunge il fatto - afferma Francesco Mauriello, presidente dell’Associazione dottorandi e dottori italiani - che da sei mesi sono fermi i fondi che il governo aveva destinato ai ricercatori under 40». Sono arrivate un migliaio di domande e sarà possibile finanziare un centinaio di progetti. I fondi, comunque, verranno sbloccati a breve. Intanto, il ministro Mariastella Gelmini fa sapere che sono «pronti in totale 8 milioni di euro per i giovani scienziati». Sei milioni in quattro anni con il progetto ”Rita Levi Montalcini” per «trattenere in Italia almeno 25 giovani e brillanti scienziati». Inoltre c’è il progetto delle «chiamate dirette» con 2,5 milioni di euro l’anno, fino a 40 docenti di chiara fama che lavorano in atenei stranieri.
Il rientro di chi espatria, dunque, potrebbe avere una accelerazione. Per ora l’esodo dei nostri ricercatori oltre i confini della Penisola è stato a senso unico. Anche perché l’Italia non ha appeal. Un dato lo prova: solo il 2% degli studenti nei corsi di laurea è straniero, mentre paesi come Francia o Germania riescono ad attrarre percentuali attorno al 10-11%, per non parlare del 17% della Gran Bretagna. Dalle aule universitarie ai laboratori di ricerca la situazione peggiora: nel Nord Europa, in Paesi come Belgio e Danimarca, la presenza di stranieri nei programmi di ricerca tocca percentuali tra il 20 e il 30%, mentre in Italia siamo a un misero 4%! A ciò si aggiunge un’altra cifra allarmante, fornita dall’Adi, l’Associazione di dottori italiani: gli iscritti stranieri ai dottorati da noi sono soltanto il 3,2%.
E’ dal 2001 che cerchiamo di recuperare chi fa le valigie. L’ex ministro Moratti varò una legge ad hoc per facilitare il ritorno dei ricercatori italiani all’estero e per incoraggiare quelli stranieri a lavorare in Italia. Uno dei prerequisiti per partecipare al programma è di avere lavorato per almeno un triennio all’estero impegnati in attività di ricerca. I vincitori stipulano un contratto con l’università che li ha chiamati. Lo scopo è nobile: dare la possibilità al ricercatore di lavorare nel suo paese di origine portando avanti progetti, ristabilendo i contatti perduti, facendosi conoscere dalla comunità scientifica italiana e trasmettendo la sua esperienza e le sue conoscenze ad una nuova generazione di studenti. In quasi dieci anni, però, il piano più volte ha fatto flop. Se nel 2008-2009 per le ristrettezze delle risorse economiche ci siamo limitati al rientro di venti ”cervelli”, nei quattro anni precedenti ne avevamo riportati in patria 466. Peccato che tanto capitale umano prezioso lo abbiamo abbandonato a se stesso. A ricercatori di ottimo livello non davamo una giusta collocazione e le università cercavano di utilizzarli come tappabuchi. Un mix di rivalità e inefficienze hanno più volte fatto fallire il piano.
Non è l’unico ostacolo: i fondi stanziati sono pochi, a singhiozzo, e abbiamo un sistema accademico che penalizza la meritocrazia. Alla ricerca destiniamo briciole - siamo scesi sotto l’1% del Prodotto interno lordo, e gli scienziati stranieri disertano i nostri laboratori. Tranne poche eccezioni rischiamo la serie B. Per questo dagli altri Paesi non vengono. I nostri che espatriano non tornano perché qui troverebbero situazioni frustranti. Così siamo fuori dal circuito e manca lo scambio che dovrebbe riequilibrare la ”fuga”. Vengono investite molte risorse nel formare studiosi che il nostro sistema non è poi in grado di trattenere.