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Messaggero: Un posto, un solo candidato: aggirata la riforma degli atenei

Bandi per posti a tempo determinato: così si violano le norme di trasparenza volute dalla Gelmini

21/09/2009
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Il Messaggero

di GIULIA ALESSANDRI

ROMA - Como, marzo 2009, al dipartimento di Scienze chimiche e ambientali dell’università dell’Insubria si riunisce la commissione che dovrà scegliere il vincitore di un concorso da ricercatore a tempo determinato per un anno. Il settore disciplinare è Chimica/Fisica. Ma non c’è molto da scegliere, la candidata è una sola, come spiegano i verbali della seduta, che risulterà poi essere la vincitrice del posto. «Un film già visto», secondo le associazioni dei ricercatori precari «a volte i bandi sono così specifici da andar bene solo per un candidato che, quindi, è l’unico a presentarsi». Ma i giovani cervelli fanno notare qualcosa che potrebbe sfuggire ad un occhio inesperto: questi bandi così dettagliati sono possibili solo per i concorsi per posti a tempo determinato che sono aumentati, dicono dalle associazioni dei ricercatori dopo, che è entrata in vigore la legge Gelmini (la 1 del 2009) con le nuove regole per i concorsi: valutazione solo sui titoli, niente esami scritti e orali, commissari esterni sorteggiati da una rosa ampia di docenti. Bandire posti con contratti a termine potrebbe essere diventato il nuovo escamotage dei baroni per piazzare i loro candidati: questi concorsi non sottostanno alla nuova normativa, ma sono regolamentati dagli atenei in base ad una legge dell’ex ministro Moratti. Tutto si svolge come nel passato in questi casi: prove orali, prove scritte, commissioni interne. Basta farsi un giro sui siti degli atenei: i bandi per ricercatori a tempo determinato sono lievitati. Alla Sapienza di Roma, ad esempio, nel 2008 sono stati 6, nel 2009 sono diventati a 13. Posti a tempo indeterminato banditi zero. «Ma è stata la stessa norma Gelmini - commentano dall’Adi, associazione dei dottorandi - ad aiutare questo sistema prevedendo che le università con i conti in regola possano coprire una parte del turn-over assumendo ricercatori sia a tempo determinato che indeterminato. Gli atenei preferiscono la prima figura perché non incide sulle spese per il personale così restano virtuose». Per l’Apri, Associazione precari della ricerca, potrebbe esserci altro: «Questi concorsi non seguono le nuove regole, piazzare un candidato diventa più facile». Insomma, la rivoluzione Gelmini non è scattata. La frustrazione dei precari è alle stelle. Questa estate una ricerca condotta dall’Apri ha evidenziato come pure con le nuove regole si riescono a fare concorsi farsa: molti atenei hanno mantenuto gli esami scritti e orali e messo un tetto massimo (non minimo) per le pubblicazioni da presentare. Nel frattempo i pochi concorsi a tempo indeterminato banditi (da quando è scattata l’era Gelmini, ne sono scattati 170 da 27 università) vanno a rilento. C’è ancora da espletare la prima sessione del 2008. Solo pochi giorni fa il Miur ha emanato l’atto che consente di formare le liste di professori da cui sorteggiare i commissari esterni. Le elezioni si faranno a dicembre. Ancora un’attesa per i giovani che vogliono fare ricerca. Con una tagliola che li insegue: le assunzioni collegate ai fondi del 2008 (quelli per il reclutamento straordinario previsto dall’ex ministro Mussi, 40 milioni) vanno fatte entro il 2011 o i fondi tornano all’Economia. «Ancora si devono fare i concorsi della prima sessione del 2008 - dicono Apri e Adi- il rischio che quei soldi si perdano è concreto». Come sono a rischio gli 80 milioni del 2009 legati al regolamento Mussi sul reclutamento dei ricercatori mai andato in porto. Bisogna sbloccarli o tornano allo Stato. Altra “falla”: la legge Gelmini prevede che le nuove regole per formare le commissioni per i concorsi dei ricercatori sono valide in attesa del riordino delle procedure di reclutamento «e comunque fino al 31 dicembre 2009». Ormai siamo quasi sotto scadenza, le nuove regole non ci sono. Che accade dopo? L’ultima nota dolente: è ancora in vigore la legge Berlinguer 210 del ‘98 che non solo è servita da paravento agli atenei per mantenere gli esami scritti e orali nei nuovi concorsi, ma genera un altro paradosso: nei concorsi da ricercatore non esiste graduatoria.