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Messaggero: Università, la Sapienza taglia 46 corsi di laurea

Tra gli Atenei è partita la corsa a dimostrarsi il più “virtuoso”: in palio ci sono 500 milioni di euro

16/05/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Alla Sapienza sono stati tagliati 46 corsi di laurea su 373, il 12,3% rispetto al 2008-2009. L’ateneo più grande d’Italia (ma anche d’Europa) ha avviato un grande processo di restyling. L’obiettivo? Migliorare l’offerta formativa eliminando per il prossimo anno accademico sprechi e rami secchi. «Abbiamo fatto accorpamenti e soppresso duplicazioni di corsi, con pochi iscritti o totalmente sganciati dal mondo del lavoro», spiega il rettore Luigi Frati. Della robusta riduzione, ecco qualche esempio: «La facoltà di Psicologia due - continua Frati - aveva quattro corsi di primo livello (laurea triennale, ndr) di cui uno in teledidattica, più o meno simili. Una sovrapposizione, con piccole varianti nel titolo. Scienze e tecniche psicologiche dello sviluppo, dell’educazione, poi della comunicazione, del marketing, e così via. Ebbene, questi corsi sono ridotti a due, avendo lasciato quello a distanza. Altre riduzioni le abbiamo fatte nell’area economica, in sedi decentrate: chiusi i corsi di Pianificazione e gestione del territorio e dell’ambiente e Pianificazione e valutazione ambientale territoriale e urbanistica. Anche la facoltà di Architettura di Valle Giulia ha attuato un processo graduale di riduzione: nel 2009-2010 non attiverà il corso interuniversitario in Progettazione e gestione dell’ambiente». Ventuno facoltà, 109 dipartimenti, 146.769 iscritti (di cui 30.000 fuorisede e 7.000 stranieri), 19.000 laureati l’anno e 4.686 docenti (2.731 tra ordinari, associati e assistenti, più 1.955 ricercatori), il gigante Sapienza è tra i primi ad adeguarsi alla legge Gelmini. Così il nuovo anno accademico, dopo la riorganizzazione, aprirà i battenti con 327 corsi.

Il 2009 sarà l’anno in cui gli atenei dovranno cambiare passo e dimostrare di essere «virtuosi», rimettendo a posto i conti. Dal buon funzionamento dipenderà la possibilità di avere accesso ai fondi «meritocratrici» previsti dall’articolo 2 della legge numero 1 approvata a inizio anno. Per questo tra gli atenei è scattata la corsa ai fondi. Corsa che prevede la riorganizzazione interna, ma anche il superamento dei privilegi, la lotta alle tante storture del sistema e l’accettazione di un sistema di concorsi più trasparente. In ballo ci sono 500 milioni cash, che a regime diventeranno 1,8 miliardi di euro, corrispondenti al 7% del Fondo di finanziamento ordinario, che, come ha stabilito il ministro, serviranno a dare «premi» agli atenei meritevoli. Tra i più papabili sembra che ci siano Bologna, Padova, Torino e Milano. In difficoltà gli atenei del Sud, soprattutto Messina sembra lontana dalla possibilità di avere i fondi della meritocrazia.

Intanto gli atenei si fanno la guerra per contendersi quei fondi, mentre la Gelmini lima il decreto attuativo (per definire i criteri di assegnazione dei fondi), che conta di presentare la prossima settimana in Consiglio dei ministri. Che cosa conterrà il decreto? Il Messaggero anticipa qualche novità: per avere i fondi speciali agli atenei non basterà non avere superato in stipendi il 90% del Fondo di finanziamento ordinario. Il ministro vuole collegare i premi anche alla qualità della didattica, ai crediti universitari conseguiti dagli studenti con gli esami, e al taglio dei corsi di laurea inutili. Tutto questo, per il ministro, è solo l’antipasto. Entro il 2011, infatti, i premi «meritocratici» dovrebbero salire fino a 2,5 miliardi di euro. Una svolta già tentata senza successo da Letizia Moratti nel 2004 e da Fabio Mussi nel 2006. Ma stavolta il regolamento attuativo è ai nastri di partenza.

E i tempi stringono. Per gli atenei ieri scadeva la data per l’invio al ministero della nuova offerta formativa (e quindi della riorganizzazione dei corsi). La Sapienza ha rispettato i termini. Anche altri atenei hanno tagliato il traguardo. Anche l’Alma Mater di Bologna è pronta. Dice il rettore Pier Ugo Calzolari: «Dopo i 15 corsi di laurea chiusi l’anno scorso, per il prossimo anno ne abbiamo soppressi altri tre. Una laurea specialistica in Conservazione dei beni culturali, e un’altra in Tecnica del restauro, infine una terza in Ingegneria della sicurezza». Però c’è un cinquanta per cento di atenei che ha chiesto al ministero la possibilità di prorogare di un mese, spostando al 15 giugno la presentazione del programma per il prossimo anno accademico.

D’altra parte la corsa alla moltiplicazione delle cattedre negli anni scorsi ha prodotto enormi distorsioni e una miriade di lauree fotocopia. L'università è sovraccarica di corsi, molti di questi con pochi immatricolati e con pochi iscritti, molti inutili, costruiti per soddisfare le lobby accademiche. Non sempre necessità formative giustificano il mantenimento di lauree poco frequentate. I dati statistici del ministero dell'Università sono allarmanti: in Italia abbiamo 40 corsi con un solo immatricolato, 767 con dieci o meno immatricolati e 1.260 con 15 o meno immatricolati. Inoltre abbiamo 235 corsi con un solo iscritto, 1.109 con 10 o meno iscritti e 1.469 con 15 o meno iscritti (i dati sono nel grafico in pagina).

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