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Mqanifesto: «Io, professore under 40, vi racconto i baroni»

INTERVISTA Adalgiso Amendola, filosofo del diritto

04/11/2008
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il manifesto

Francesca Pilla

SALERNO

Si chiama gerontocrazia, si traduce con «nonni» arroccati nei posti di comando. Nel nostro paese, in controtendenza con l'Europa, è la norma. I «giovani» che entrano a guidare grosse aziende hanno minimo 50 anni, ed è così in tutti i gangli del potere, a cominciare dal parlamento. L'Università non si sottrae a questa consuetudine, e non si tratta solo dei cosiddetti baroni. In tutto il paese i docenti «con cattedra» sotto i 35 anni sono solo 3, quelli tra i 35 e i 40 invece 102, intorno al 7% del totale. Adalgiso Amendola, professore di filosofia del diritto, facoltà di giurisprudenza all'Università di Fisciano è uno di questi ultimi.

Professore, perché è così difficile ottenere una docenza prima dei 40?

Perché la riforma del '98 ha permesso solo avanzamenti interni, e in verità è stata la mia personale fortuna. Quello universitario è attualmente un sistema chiuso, chi ha una docenza è pressoché inamovibile e vive una condizione di assoluto privilegio. Di conseguenza i precari hanno gli ingressi sbarrati.

E lei come c'è riuscito?

Se è un merito personale saranno gli altri a giudicare, di sicuro molti miei colleghi che hanno la mia età, hanno prodotto più e meglio di me, sono rimasti ricercatori. Questo perché per una carriera facile sono necessarie due condizioni: che un maestro si prenda cura di te e che venga rispettato a livello nazionale. Io ho preso un dottorato a Milano, quindi il post-dottorato e poi a 28 anni ho vinto il concorso da ricercatore. Ma in questo sistema dove nasci là muori, così è difficile che mi possa spostare da Fisciano.

Nella sua università chi sono i baroni e come si comportano?

Un tempo i baroni erano i caposcuola e dirigevano il sistema con il meccanismo della cooptazione, quasi militarmente. Ma almeno, con tutti i loro difetti, avevano una legittimità culturale. Oggi ci sono solo piccoli potentati, autorità frammentate. Questo significa che un precario deve affidare il suo futuro a uno di loro e sperare di essere benvoluto. Ripeto, i meriti centrano poco, o comunque sono un di più.

Si parla molto di sprechi nelle facoltà. Lei è d'accordo?

Certo. E sono iniziati non da oggi, ma con la riforma Berlinguer. Riguardano principalmente la frammentazione dei corsi di laurea. Abbiamo facoltà con sei, sette discipline ultraspecialistiche che magari vengono seguite da tre studenti. Questo ha un costo enorme e l'aziendalizzazione delle università va esattamente in questa direzione.

Quindi fa bene il governo a tagliare i finanziamenti?

Assolutamente no. Si tratta di una scure irrazionale, di tagli senza nessuna logica o programmazione. L'unica cosa su cui puntano è chiudere i rubinetti ai finanziamenti ordinari e bloccare il turn over, senza toccare gli sprechi. Quello che dicono ai rettori è solo un «ora arrangiatevi».

Ma è realistico pensare a un finanziamento privato in università come la sua, in scienze umanistiche?

Non ha senso, ma non lo ha nemmeno per quelle scientifiche. La ricerca si basa su saperi di base che fanno progredire e avanzare le società, un privato al massimo potrebbe sovvenzionare studi specifici. Va da sé che questa tecnicizzazione ammazza e svilisce qualsiasi scienza.

Gli studenti contestano tutto questo.

Sicuramente è un momento di autoriforma dell'università. Gli studenti non si limitano a protestare contro il decreto Gelmini, ma credo abbiano coscienza di capire che forse è arrivato il momento di invertire un meccanismo bloccato da oltre 20 anni.

Il movimento si definisce «apolitico». Ma in realtà quella che ama chiamarsi «onda» è forse un modo di fare politica allo stato puro.

Non è pericoloso questo rifiuto?

Solo se non si riesce a comprenderli. Quando dicono di essere apolitici, né di destra né di sinistra, è perché credo si chiamino fuori dai disastri fatti nell'istruzione dalla classe dirigente tutta.

E voi docenti? Può trasformarsi anche in una vostra battaglia?

I professori non dovrebbero difendere la loro corporazione, ma nemmeno indirizzare gli alunni, come spesso fanno. Dovremmo semplicemente farci attraversare da loro e partecipare quando è possibile. Personalmente ritengo che per quanto riguarda la nostra «classe» sia vergognoso che gli studenti non contino nulla e non possano esprimersi sulla necessità di mantenere o meno una cattedra, un corso di laurea, così come non possano fornire le loro valutazioni su un avanzamento di carriera. Dovrebbero battagliare anche su questo che è uno dei cardini su cui si fonda un sistema universitario malato, uno dei motivi per cui i professori sotto i 35 anni sono solo tre.