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Necessario un intervento del presidente Conte per un provvedimento d’urgenza sull’istruzione

L’articolo di Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL, pubblicato sull’Huffington post.

22/03/2020
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L'Huffington Post

In un lungo articolo dal titolo “Come Covid-19 sta interrompendo l’istruzione dei ragazzi” nella edizione del 18 marzo, il settimanale The Economist espone la condizione di un miliardo di studenti nel mondo, la cui vita scolastica è stata devastata dall’epidemia improvvisa di queste settimane. E come già annunciato nel titolo, il giudizio dell’autorevole settimanale è netto: se le scuole nel mondo si chiudono, se le attività didattiche vengono trasferite nel non luogo della piattaforma digitale, se improvvisamente vengono a mancare le relazioni umane, allora “s’interrompe l’istruzione (education)”. Il mezzo tecnologico che definisce la cosiddetta didattica a distanza non “è la scuola”, è solo una delle modalità per imparare e insegnare. Ma non è la scuola, scrive The Economist. Non possiamo che essere d’accordo. 

Quando il settimanale passa in rassegna le risposte che i diversi Paesi hanno utilizzato per contrastare l’epidemia, sull’Italia scrive: “da quando le scuole e le università sono state chiuse il 5 marzo, i forum dei docenti si sono riempiti di discussioni sui meriti relativi di Zoom, Moodle e sulle classi virtuali. Alcuni docenti si sono addestrati all’uso di queste tecnologie, ma molti hanno affrontato una ripida curva di apprendimento”. Il giudizio netto di The Economist: “per quanto venga fatto con scrupolo, l’insegnamento online è un misero sostituto di quanto accade in una classe”. I corsi online possono essere un vantaggio quando gli studenti non possono andare a scuola, ma sono preclusi ai più. Tuttavia, scrive ancora l’Economist, sono state effettuate nel mondo, “grazie anche all’intelligenza artificiale, sperimentazioni di successo di nuove forme di digital learning. Il successo di tali iniziative, però, risiede nella preparazione e nella organizzazione, non certo nella improvvisazione definita dalla condizione di intere popolazioni di studenti nel mezzo di una pandemia”.

Siamo in prima linea con i nostri delegati e le nostre delegate nel grande sforzo corale della scuola pubblica, della grande prova di questi giorni e dobbiamo gratitudine ai dirigenti, ai docenti, al personale Ata, di tutte le scuole italiane, e soprattutto delle zone maggiormente colpite, se hanno conservato intatto il senso del fare scuola, di essere scuola, cercando di non lasciare nessuno solo. Ma perfino in questa situazione davvero difficile, appare indispensabile mantenere la barra dritta rispetto alla nostra idea di scuola della Costituzione che ha nel principio di eguaglianza uno dei suoi cardini più significativi. In questo senso la Didattica a Distanza rischia di accrescere le diseguaglianze proprio per la presenza diffusa del cosiddetto digital divide: di chi si trova in situazione di povertà e/o di forte disagio familiare, i diversamente abili, i DSA, gli studenti stranieri, chi frequenta l’istruzione degli adulti, chi usufruiva dei percorsi scolastici in carcere. Sono più di un milione e mezzo gli studenti che non hanno possibilità di accesso alla rete, per assenza di connessione in casa, per assenza di banda larga sul territorio, per assenza di un computer. Possiamo lasciarli soli e indietro, approfondendo ancora di più le differenze sociali? Una volta don Lorenzo Milani disse che senza una biblioteca in casa, qualunque studente sarebbe partito in svantaggio.

Trasliamo questa frase all’oggi e scopriremo che chiunque sia privo di una connessione (ovvero l’accesso alla biblioteca universale del XXI secolo) è in condizioni di svantaggio. Figuriamoci se ha la possibilità di seguire lezioni a distanza. In questi giorni abbiamo più volte sottolineato come la formazione a distanza si riveli certo utile in alcune situazioni (lunghi ricoveri ospedalieri in isolamento), ma, se protratta, presenta dei rischi molto pericolosi, per l’idea di insegnamento che la Flc Cgil ha sempre difeso (la relazione educativa, la collettività, le opportunità di socializzazione) che ci inducono a ritenere opportuno, al di fuori - sia chiaro – della fase attuale, limitarne l’utilizzo ad una funzione complementare, integrativa della didattica in presenza. Inoltre sulla didattica a distanza girano interessi economici colossali contro i quali il Ministero dell’Istruzione non sembra affatto in grado di creare alcuna barriera. Ora ci troviamo di fronte ad uno scenario inedito: l’estensione a tutto il Paese dei provvedimenti di sospensione delle attività didattiche e la possibile reiterazione di tale misura lasciano pensare che le probabilità di un ritorno più o meno rapido alla “normalità” siano sempre più lontane.

Ritorna la necessità di un provvedimento normativo che, da un lato, chiarisca che la didattica a distanza, sostitutiva di quella in presenza, è una modalità eccezionale racchiusa in un tempo circoscritto e ad un evento preciso (l’emergenza sanitaria) e, dall’altro, intervenga per alleviare le differenze socio-economiche tra studenti.

Come l’Economist, anche noi siamo convinti che nessun dispositivo tecnologico possa mai sostituire quella straordinaria esperienza umana che è una classe di studenti, studentesse e insegnanti. Per usare un’espressione cara ad un grande filosofo di recente scomparso, Emanuele Severino, la tecnica ha il potere di dissolvere i ricordi, la memoria, individuale e collettiva, di farci perdere il senso umano della relazione profonda e del dialogo, dello sguardo che interroga e che chiede risposte vive. Già l’iperconnessione in cui sono avvolte le nuove generazioni procura una perdita di relazioni, se poi si punta a giustificarne l’uso massiccio e sostitutivo a scuola - approfittando dell’emergenza epidemica -, ecco che emerge una malefica volontà di cambiare l’istruzione, trasformandola in contenitori neutri. 

Dobbiamo inoltre ripensare il rapporto con il tempo che ha la nostra scuola. Questa potrebbe essere un’occasione per superare il pregiudizio dominante della nostra epoca secondo cui, anche sul piano pedagogico e della formazione, “non c’è tempo da perdere, bisogna correre altrimenti perdi - chissà che cosa poi? - e non sarai mai il più preparato se non  il migliore!”. Convincimento frutto di una ideologia della competizione che si è impadronita dell’istruzione nei decenni dell’impero liberista. Questa, invece, potrebbe essere l’occasione giusta per capire che il nostro correre verso la conoscenza non è una corsa in treno verso una meta, ma una passeggiata che ci consente di attardarci lungo il cammino e di cogliere inaspettate sorprese, a cominciare dalla cooperazione, dalla collaborazione, dalla condivisione dello spazio e del tempo, in un destino comune. È la Koiné leopardiana? Sì, è quella. Aiutiamo i ragazzi a comprendere tutto quello che sta avvenendo per scoprire insieme a loro che l’opportunità di questo tempo ritrovato è uno dei tesori che questa emergenza può regalarci. Ciò significa riflettere sui rapporti umani che, seppur rarefatti a livello quantitativo possono, però, decisamente elevarsi a livello qualitativo. Ma significa anche lavorare per trovare tempi e modi per comunicare il senso del loro mondo-della-vita, di elaborare con i ragazzi idee esistenziali forti, come la paura, la sofferenza, la morte cui questo virus ci espone.

Non solo. Andrebbe trasmessa finalmente una delle lezioni filosoficamente e scientificamente più forti che emerge da questa situazione ormai planetaria: il rapporto stretto tra Umanità e Natura nella vita sulla Terra, e il legame tra l’ecosistema e la devastazione cui è stato sottoposto a causa di un sistema produttivo che si basa sul profitto ad ogni costo e sulla convinzione che le risorse naturali siano infinite. Il coronavirus è la metafora più tragica della globalizzazione: parte da un pipistrello in qualche zona remota del sud est asiatico, si trasferisce su altri animali, e poi sull’uomo, con una forza e una rapidità inedite. Le magnifiche sorti e progressive sulle quali si concentrava ogni convinzione scientista e neopositivista sono state spazzate via dall’improvvisa comparsa, diffusione e mutazione di un virus, talmente potente da schiacciare le economie e i sistemi produttivi, fino a trasformare il modo stesso di lavorare. E di insegnare e imparare.

Non è la prima volta che accade nella storia dell’umanità. Ecco perché ad esempio si potrebbe approfittare di queste settimane per promuovere nei programmi di Storia, di Scienze, di Filosofia, l’aggiunta dello studio delle crisi epidemiche, abbinandolo allo studio dell’ecosistema, unico in grado di accrescere la consapevolezza del legame inscindibile tra Natura e Umanità. Natura e Umanità: sono gli ingredienti inscindibili del mondo-della-vita soggettivo di ciascuno di noi. Ma spesso l’abbiamo dimenticato. Spesso l’abbiamo dato per scontato. Spesso non riusciamo a comunicarlo, a noi stessi, ai nostri figli, agli educatori, agli studenti. Ora è il momento di alzare lo sguardo e puntare con ambizione a ciò che questa devastante crisi epidemica ci consegna: il senso stesso del sapere e della scienza, per l’umanità. A questo serve l’istruzione. A questo serve la formazione universitaria. Non attendiamo la prossima epidemia per capirlo.   

Questi timori li abbiamo avanzati sul piano educativo alle istituzioni. Non abbiamo trovato né ascolto né dialogo. Solo chiusure. E insulti. Facile sottrarsi con gli insulti quando non si possiedono argomentazioni. Ma i problemi restano, come macigni. E vanno affrontati, come nel caso dell’ultimo decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri. Ecco perché ribadiamo la necessità assoluta di un provvedimento d’urgenza e dell’intervento diretto del Presidente del Consiglio sul settore scolastico per regolamentare la prosecuzione dell’anno scolastico. La scuola ha immediato bisogno di risposte: didattica a distanza, esami di stato, valutazione degli apprendimenti, debiti nella secondaria di II grado, eliminazione delle prove Invalsi e dei Pcto, istruzione degli adulti, istruzione carceraria, certificazione linguistica per stranieri, modifica del calendario scolastico di questo e del prossimo anno scolastico, ecc. Inoltre, esso è necessario perché si riconoscano procedure semplificate di reclutamento dei docenti e la compilazione delle graduatorie di istituto, evitando così di avviare il prossimo anno scolastico in una situazione di drammatica ingovernabilità.

Per queste ragioni, la FLC CGIL rivolge un appello al presidente del Consiglio: adeguiamoci pure dinanzi alle difficoltà dinanzi ad ogni misura di contenimento, e facciamolo tutti, senza distinzione di età, stretti in un patto - sia pur virtuale - di condivisione, cooperazione e collaborazione sociale e intergenerazionale. Deve essere però chiaro che sulle tutele e sui diritti che riguardano lavoratori e lavoratrici, studentesse e studenti, le famiglie, tutti coinvolti nel patto educativo, non arretreremo di un solo passo. E saremo pronti a segnalare le luci e le ombre di ogni scelta che li riguarda. L’emergenza non può pregiudicare la democrazia, i diritti, il senso della ricerca e della scienza per l’umanità, né il futuro di intere generazioni, come spesso ci ricorda quando parla nelle scuole e nelle università il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

In conclusione vorrei ricordare a tutti che Sanità pubblica, ricerca pubblica, scuola pubblica, università pubblica in questi anni hanno subito lo stesso destino di tagli lineari e sempre più drastici da parte di molti governi, e in questa emergenza se ne vedono, purtroppo, i risultati. Il processo liberista di semi smantellamento della sanità pubblica corre parallelo al processo di semi smantellamento dei settori pubblici della conoscenza. E oggi finalmente, nella crisi devastante, molti comprendono come conoscenza e salute siano indissolubilmente legati. Si ponga dunque fine alle devastanti politiche di disinvestimento delle risorse pubbliche e dello Stato a favore di sanità, ricerca e conoscenza. Se ci si pensa, i temi oggi in discussione per la scuola emergono proprio per non aver dato soluzione negli anni a un’autentica riforma dell’istruzione, preferendo invece interventi di riduzione della “spesa” e di “contenimento del danno”. Anche per queste ragioni, vorrei qui ed ora rivolgere un pensiero a tutti coloro che in questi giorni combattono in prima linea sul fronte della sanità pubblica e della ricerca pubblica. Alla loro straordinaria abnegazione va la solidarietà di tutto il mondo della conoscenza.


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