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Negli USA la scuola la salvano i Superman, ma alla nostra Pestalozzi chi ci pensa?

Nei cinema ci sono un film italiano e un documentario americano. «La scuola è finita» e «Waiting for Superman»: un confronto tra sistemi scolastici diversamente sfasciati e un monito a non fare gli stessi errori

15/11/2010
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l'Unità

Cesare Buquicchio

Leggere in controluce affinità e differenze della società italiana e di quella americana è illuminante. Perché guardare agli Stati Uniti, come in tante occasioni abbiamo già sperimentato, significa confrontarsi con uno dei nostri futuri potenziali. Decenni fa, quando noi ancora ci crogiolavamo nel tepore del lavoro a tempo indeterminato, loro erano i flessibili che cambiavano impiego in media tre o quattro volte in una vita. Ora anche noi siamo diventati flessibili ma senza la mobilità sociale, gli stipendi e le prospettive di assunzione made in Usa. Un altro esempio, probabilmente quello definitivo, è nella politica: loro erano quelli del sistema bipolare e tendenzialmente leaderistico quando noi eravamo ancora al pentapartito. Così negli ultimi vent’anni loro sono passati da Clinton a Bush, per arrivare ad Obama. Noi siamo diventati bipolari (forse anche clinicamente) con Berlusconi e lì ci siamo fermati... Un film e un documentario usciti nelle sale cinematografiche venerdì scorso, l’italiano La scuola è finita e l’americano Waiting for Superman, ci danno l’occasione di fare lo stesso esperimento di confronto a proposito del sistema scolastico. L’ambizione di entrambi è quella di far superare al pubblico quella vischiosa soglia fatta di polemiche politiche e scioperi, riforme e controriforme, tagli minacciati e sperperi realizzati, aspirazioni frustrate e devastazioni compiute che allontana sempre di più l’opinione pubblica (ebbene sì, anche quella americana) dall’essenza del problema sintetizzato egregiamente nel sottotitolo di Waiting for Superman: «Il destino del nostro Paese non si deciderà su un campo di battaglia, ma sarà stabilito in un’aula scolastica». Il film, scritto e diretto da Valerio Jalongo, racconta una realtà abbastanza prevedibile. L’Istituto Pestalozzi alla periferia di Roma è una superiore pubblica cometante. Definirla fatiscente è un eufemismo,mancano i soldi, i ragazzi sono annoiati e rissosi fino a quando nonsi vanno ad impasticcare in bagno e i professori scaricano sugli studenti frustrazioni, immaturità e senso di inadeguatezza. E anche quando provano a donare energie positive agli alunni, lo fanno in modo confuso e mal strutturato. In queste condizioni anche solo l’idea di un cambiamento appare irrealistica. Meno scontato quello che troviamo nel documentario firmato da Davis Guggenheim, già premio Oscar per la pellicola ambientalista su Al Gore Una scomoda verità. Negli Usa difficilmente le scuole pubbliche sono fatiscenti, ma il sistema americano, nonostante gli investimenti aumentino ogni anno dal dopoguerra, è alle prese con rendimenti scolastici disastrosi. Tra i 30paesi più sviluppati, gli Stati Uniti si collocano al 25° posto per la matematica e al 21° per le scienze. Più della metà degli alunni di terza media ha difficoltà nella lettura e nel calcolo e i tassi di abbandono scolastico prima del diploma vanno dal 20 al 35 per cento. La burocrazia è asfissiante e vi sono differenze enormi tra scuole pubbliche e private e tra quartieri ricchi e quartieri poveri. Vedere la sfilata dei presidenti, Nixon, Carter, Reagan, Clinton, promettere inutilmente una riforma finalmente efficace, quasi conforta e fa tornare in mente quel rito di passaggio di ogni giovinezza italiana costituito dalla protesta contro una riforma: no alla Misasi, no alla Malfatti, no alla Falcucci, no alla Berlinguer, no alla Moratti... Le differenze tra i due scenari sembrano qui accelerare. Infatti, fatto il saldo con la drammatica situazione finanziaria in cui versano le nostre scuole, la distanza di preparazione tra uno studente di una privata e quello di una pubblica, da noi ancora non è così irrecuperabile. Così come, tenore di vita di un quartiere e qualità delle sue scuole pubbliche, non sono elementi così legati. Ma il futuro è dietro l’angolo, è dietro alle intenzioni di qualche ideologo della scuola privata, dietro alle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche, dietro agli appetiti di qualche movimento federalista. Un futuro che visto nell’America del documentario di Guggenheim (che, detto per inciso, inizia il suo film proprio dall’ammissione di aver scelto una scuola privata per i suoi bambini...) fa parecchia paura.Con strazianti sorteggi per accedere alle rarissime scuole pubbliche di qualità come unica carta da giocarsi per non consegnarsi adun futuro da fallito, già dall’età di sei anni. Come se ne esce? A questo punto, nella pellicola americana, entrano in scena i Superman che provano a salvare le cose. C’è il preside che aiuta i bambini poveri di Harlem con un sistema innovativo di educazione “permanente” dal nido al college. E c’è il sovrintendente di Washington alle prese con il peggior corpo docente della nazione che le studia tutte per sottoporre gli insegnanti a processi di valutazione che possano condurre i peggiori al licenziamento e i migliori ad ottenere cospicui aumenti salariali. Risultato? Il potentissimo sindacato della scuola blocca la riforma e non fa nemmeno esprimere i suoi iscritti sulla possibilità di scegliere valutazioni e aumenti: «Non si può dividere la base...». Ecco, forse anche su questo aspetto possiamo intravedere uno dei nostri futuri potenziali. Perché per non finire per avere come unica scelta quella tra la scuola modello Adro o quella modello Marchionne oltre a chiedere più risorse dovremmo accettare qualche cambiamento. Oltre alla difesa dei posti di lavoro dovremmo migliorare la qualità media del nostro corpo docente. Insomma, dovremmo cominciare a dire qualche sì accanto ai tanti no.