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Nel Nord Africa ricerca fa rima con libertà

«Il popolo egiziano ha perduto la pazienza». Chiede più democrazia e meno corruzione. E gli scienziati sono con loro. Come dimostrano queste parole, affidate nei giorni scorsi da Ahmed Zewail, premio Nobel per la Chimica 1999, alle colonne del quotidiano spagnolo El Pais

08/02/2011
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di Pietro Greco

«Il popolo egiziano ha perduto la pazienza». Chiede più democrazia e meno corruzione. E gli scienziati sono con loro. Come dimostrano queste parole, affidate nei giorni scorsi da Ahmed Zewail, premio Nobel per la Chimica 1999, alle colonne del quotidiano spagnolo El Pais.
«Gli Egiziani, motivati dalla generazione più giovane e acculturata, si stanno mobilitando pacificamente per chiedere più libertà e più democrazia … Il movimento di protesta è realmente popolare, non settario, tra i suoi attivisti vi sono non violenti e pacifisti, persone vecchie e giovani, ricche e povere, cristiani e musulmani, brillanti e promettenti imprenditori e intellettuali, rappresentanti di tutto il panorama della società egiziana», spiega Sabry Abdel-Mottaleb, chimico esperto di energia solare.
Entrambi chiedono pubblicamente alla comunità internazionale, compresa quella scientifica, di sostenere la protesta del popolo egiziano. E se il primo, Ahmed Zewail, si espone da un luogo relativamente sicuro, perché vive e lavora negli Stati Uniti, il secondo si espone da un luogo a rischio di rappresaglia, perché vive al Cairo e lavora alla locale università.
I due chimici non sono un’eccezione. La gran parte della comunità scientifica egiziana si sta schierando apertamente con il movimento di protesta. Sottolineando, come fanno Zewail e Abdel-Mottaleb, il suo carattere popolare, non violento e laico.
La stessa cosa era successa, nei giorni scorsi, in Tunisia. Come ha documentato la rivista Nature, anche la comunità scientifica del piccolo paese che ha cacciato via il dittatore Zine el-Abidine Ben Ali si è schierata con il movimento di protesta. Sia quella che vive e lavora all’estero, sia quella che vive e lavora in Tunisia. Non era scontato. Sia perché spesso, nei regimi dittatoriali, la comunità scientifica gode di privilegi. Sia perché molti uomini di scienza preferiscono vivere in una torre d’avorio e considerano disdicevole l’impegno politico.
Non sta succedendo così nel Maghreb. Per molte ragioni. Alcune generali. Perché anche in Nord Africa le mura delle torre d’avorio sono crollate e gli uomini di scienza si sentono sempre più parte della società. Perché le richieste del movimento di protesta – più libertà, più democrazia, meno corruzione, meno privilegi – sono valori fondanti della stessa comunità scientifica. In cui la gran parte degli uomini di scienza naturalmente si riconoscono.
Ma alcuni motivi sono specifici. Perché gli scienziati egiziani e tunisini avvertono – forse prima e più degli altri concittadini – che i regimi dittatoriali stanno frenando lo sviluppo scientifico e, di conseguenza, la crescita culturale, civile ed economica dei loro paesi.
Non a caso Ahmed Zewail ricorda che trent’anni fa, quando Mubarak è salito al potere, ragazzi e ragazze frequentavano le università del paese convinte di partecipare a un processo di crescita complessiva – culturale, civile ed economica – dell’Egitto. Allora, sostiene il premio Nobel, in fatto di ricerca l’Egitto veniva prima di molti paesi oggi emergenti. Per esempio, prima della Corea del Sud. Oggi il paese asiatico è quinto assoluto nella classifica mondiale dei paesi che investono di più in ricerca e vanta la percentuale più alta al mondo (60%) di giovani laureati. Ed è un paese ricco (per reddito pro capite ha di recente superato anche l’Italia). Mentre in questi trent’anni la scienza egiziana e le università egiziane, sono tornate indietro. I talenti sono partiti. L’economia non è mai decollata.
La Tunisia è un paese più piccolo. Ma il processo e le denunce degli scienziati sono analoghi. La verità è che se i ricercatori e, più in generale, gli intellettuali nordafricani avvertono più degli altri loro concittadini dove e perché la scarpa delle loro società fa male. Sanno che la ricerca è la leva principale per lo sviluppo. Ma sanno anche che senza libertà e senza democrazia quella leva difficilmente si attiva. Così sono pronti a esporsi e a pagare di persona per portare anche l’Africa del Nord nella società, laica e democratica, della conoscenza.