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NO alla grande ope legis della Moratti SI' alla qualità dell'università

NO alla grande ope legis della Moratti SI' alla qualità dell'università (Walter Tocci - 8 giugno 2005) Sulla docenza universitaria siamo di fronte ad un caso clamoroso di doppiezza mora...

09/06/2005
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NO alla grande ope legis della Moratti SI' alla qualità dell'università
(Walter Tocci - 8 giugno 2005)

Sulla docenza universitaria siamo di fronte ad un caso clamoroso di doppiezza morattiana. Il Ministro aveva promesso l'introduzione di severi principi meritocratici nei concorsi universitari. In realtà il governo ha sostenuto nella commissione Cultura della Camera un pacchetto di emendamenti che rilanciano i peggiori vizi dell'accademia italiana. La distanza tra le parole e i fatti è ormai abissale.

Ecco alcuni esempi. A tutti i titolari dei contratti di insegnamento viene attribuito, senza alcun concorso, il titolo di professore aggregato (articolo 5, comma 11). Il medesimo titolo è attribuito a tutti i ricercatori, anche se non hanno mai svolto attività didattica. Per il futuro si potrà diventare ricercatore a tempo indeterminato senza passare per il concorso finora previsto dalla legge, ma ricorrendo semplicemente a fantomatiche "procedure selettive disciplinate da ciascuna università con propri regolamenti" (a. 5, c. 6). Il disegno di legge non aggiunge neppure un euro, ma si preoccupa di vincolare le risorse interne delle università alle progressioni di carriera invece che all'accesso dei giovani (a. 4, c. 1e). Tornano i famigerati concorsi con riserva di posti per idoneità: il 25% per il passaggio ad ordinario (per associati con 15 anni di anzianità); il 15% per l'idoneità ad associato (a. 4, c.1). Per non dimenticare proprio nessuno si stabilisce anche una piccola riserva per i tecnici-laureati che vogliono diventare professori associati. Come se non bastasse si è pensato anche ai "soggetti di elevata professionalità (sic!), ai laureati dell'area tecnica scientifica e socio assistenziale" che possono chiedere alla facoltà di appartenenza di diventare professori aggregati. E così via, todos caballeros. Tutti potranno scrivere "professore" sul biglietto da visita, ma nessuno otterrà cambiamenti concreti. Ecco i frutti del populismo applicato all'università.

E' una sistematica penalizzazione del merito, è lo spregio reiterato del valore scientifico, è la più grande ope legis nella storia dell'Università italiana. Non può passare sotto silenzio uno scempio tanto grave della qualità. Stiamo ancora pagando il prezzo delle follie compiute nei decenni passati. Ripeterle oggi significherebbe assestare un colpo mortale al sistema dell'alta formazione.

Una domanda mi permetto di rivolgere anche ai dodici docenti che sulle colonne del Riformista hanno lanciato un appello animato da una nobile sollecitudine per il futuro dell'Università italiana. "Siamo stanchi di dire solo dei no", era il loro l'incipit, del tutto condivisibile. Ma come si deve applicare tale regola generale al caso specifico che il governo ci propone in Parlamento? Si deve dire sì o no ad una legislazione tanto lassista?

Come Uniti nell'Ulivo (in prorogatio per l'occasione) abbiamo detto di no: il disegno di legge sulla docenza è diventato impresentabile e dannoso e va ritirato.

Ma non ci sentiremmo di gioire di questo risultato. Non ci consolerebbe denunciare che in quattro anni si sono viste solo norme improvvisate, tagli ai finanziamenti, blocco delle assunzioni, rilancio del centralismo.

No, noi dell'opposizione proponiamo di non sprecare i pochi mesi di lavoro parlamentare e siamo disponibili ad approvare alcuni provvedimenti davvero utili. Sarebbe un modo concreto per dare certezze all'università, senza ricominciare da capo al cambio di legislatura. Sarebbe un caso di bipolarismo positivo basato sulla sfida a fare meglio: la maggioranza potrebbe chiudere dignitosamente il suo mandato e noi potremmo anticipare alcune politiche che faremmo dal governo in caso di vittoria alle prossime elezioni. Eccole.

1.Valutazione. L'Italia deve dotarsi di un moderno sistema di valutazione, che operi sulla base di consolidate procedure internazionali, mediante l'istituzione di un'Autorità nazionale indipendente sia dal Governo sia dalle università. Un nostro emendamento in tal senso era stato approvato in Commissione, ma poi è stato cancellato dalla maggioranza con una motivazione inquietante: tale organo è ritenuto "inopportuno", in quanto "esterno al circuito di rappresentanza Governo-Parlamento". Insomma, deve essere il potere politico, secondo questi sedicenti liberali, a valutare i professori universitari.

Non si può rimanere indifferenti davanti al vasto discredito che colpisce i concorsi universitari. Senza illudersi di poter trovare un sistema miracoloso, si potrebbero intanto apportare piccoli miglioramenti all'attuale legge sui concorsi locali. Ad esempio, ciascun settore scientifico-disciplinare elegge ogni due anni una lista di "commissari nazionali", non rieleggibili, dalla quale vengono sorteggiati i membri delle commissioni di concorso, con esclusione dei docenti dell'ateneo interessato. Inoltre nella valutazione comparativa dei candidati le commissioni si avvalgono di giudizi anonimi di referee internazionali.

2. Più autonomia, meno burocrazia. Troppe leggi, circa 700, regolano la vita universitaria italiana, stratificandosi confusamente da decenni. Recenti atti governativi hanno rilanciato il ruolo del centralismo ministeriale rimettendo in discussione l'autonomia degli atenei. Proponiamo invece di riprendere la strada dell'autonomia riducendo drasticamente la burocrazia e delegando alle singole università tutte le competenze che vi possono essere svolte più efficacemente.

3. Dare ali alla ricerca libera. Negli ultimi anni sono diminuiti i finanziamenti per la ricerca universitaria liberamente proposta in tutti i campi (PRIN); quasi metà dei progetti presentati rimane senza alcun finanziamento. Proponiamo di raddoppiare subito il finanziamento annuale dei PRIN utilizzando i soldi che l'IIT tiene colpevolmente in cassa senza spenderli da due anni.

4. Riaprire ai giovani le porte dell'Università. Con un'età media dei professori ben oltre i cinquant'anni la nostra università non ha futuro. I professori più esperti non trovano più giovani ai quali trasmettere prestigiose tradizioni di ricerca. Occorre cambiare subito rotta con un programma decennale di assunzione di giovani professori/ricercatori, da selezionare con rigorosi criteri di merito. Per il futuro si dovrà distinguere il canale dell'accesso dei giovani da quello delle carriere interne, sia dal punto di vista finanziario che normativo.

Inoltre, è necessario trasformare i ricercatori in terza fascia docente, come richiesto unanimemente da tutti i soggetti consultati nelle audizioni parlamentari. E non ci si venga a dire che anche questa è una ope legis. C'è una differenza enorme tra la trasformazione di un livello esistente, riconoscendo la funzione docente a coloro che la svolgono effettivamente, e il passaggio ai livelli successivi o addirittura l'assunzione a tempo indeterminato senza ricorrere al concorso, come propone la maggioranza.

Le differenze tra noi e la maggioranza sono chiare e non consentiremo a nessuno di oscurarle. Se il ministro Moratti proseguirà su tale strada la nostra opposizione si farà sentire con la massima energia. Se invece smentirà le nefandezze approvate dalla maggioranza siamo pronti ad un vero confronto parlamentare per il bene dell'Università italiana.

Walter Tocci responsabile ricerca e università dei DS

In allegato il testo definitivo della proposta di legge sulla docenza universitaria calendarizzato per l'aula della Camera per il 14 giugno 2005; qui di seguito
le proposte di fine legislatura dell'Ulivo.

PER LA CRESCITA E LA QUALITA' DELL'UNIVERSITA' ITALIANA
Proposte dell'Ulivo per la fine legislatura

La domanda di formazione superiore e di ricerca innovativa è in crescita. Emerge una nuova motivazione dei giovani verso gli studi universitari (+20% di immatricolazioni)che andrebbe coltivata come una piantina preziosa. Le imprese e gli enti pubblici, da parte loro, cercano intensamente innovazione e dunque ricerca. Proprio quando l'aumento della domanda avrebbe potuto generare sviluppo del sistema universitario, sono state fatte mancare le risorse per adeguare l'offerta. La legislatura volge al termine senza che sia stato risolto alcun problema dell'università. Si sono viste solo norme improvvisate, tagli ai finanziamenti, blocco delle assunzioni, rilancio del centralismo.
L'opposizione denuncia ancora una volta questo stato di cose, ma non gioisce della paralisi decisionale. Preoccupata della situazione dell'università italiana, rivolge responsabilmente al Governo e alla sua maggioranza un'ultima proposta: abbandonare il sempre più contorto e penalizzante disegno di legge sullo stato giuridico e utilizzare l'ultimo anno della legislatura per alcune importanti priorità, approvando provvedimenti utili alla crescita e alla qualità dell'università .
Indichiamo quattro priorità, rinviando, per una visione più ampia dei problemi ad altre nostre proposte già presentatete in via di elaborazione.

1. Riaprire ai giovani le porte della docenza universitaria.
C'è un urgente bisogno di professori universitari che insegnino e facciano ricerca con grande libertà soprattutto nel decennio più produttivo della vita intellettuale, quello tra i trenta e i quarant'anni, invece che stazionare in posizioni incerte e subalterne. Con un'età media dei professori ben oltre i cinquant'anni, la nostra università ha sempre meno spinta e dà sempre meno spinta al Paese.
Il rallentamento delle assunzioni dei ricercatori e il successivo blocco fanno rischiare la scomparsa di interi filoni del sapere. I professori più esperti non trovano più giovani ai quali trasmettere prestigiose tradizioni di ricerca. La dialettica generazionale è una forza decisiva per lo sviluppo della conoscenza e per l'apertura di nuove strade di ricerca. Quando viene a mancare, il sistema langue. Occorre cambiare rotta.

Proponiamo:
- il varo urgente di un programma straordinario di assunzioni di giovani professori/ricercatori, oltre il turn over, da selezionare con rigorosi criteri di merito; sostegno alle borse di studio e aumento dei dottorati di ricerca;
- l'immediato superamento dell'ibrida situazione degli attuali ricercatori universitari, che garantiscono la funzionalità della didattica oltre che della ricerca, mediante l'istituzione della terza fascia docente. E' una soluzione ormai a portata di mano, che sgombrerebbe anche la strada verso un nuovo stato giuridico per tutta la docenza universitaria.
2. Realizzare subito il sistema nazionale di valutazione.
L'Italia deve dotarsi di un moderno sistema di valutazione, che consenta di evidenziare e incentivare i settori di qualità e di riqualificare quelli più deboli. Va incentivata l'autovalutazione degli atenei, mentre la valutazione esterna deve essere assolutamente indipendente ed avvenire secondo consolidate procedure internazionali.
Proponiamo l'immediata attuazione della norma, proposta dall'opposizione e già approvata dalla VII Commissione della Camera, che prevede l'istituzione di un' Authority nazionale per la valutazione - a livello dei singoli e delle strutture- della qualità delle attività universitarie (didattica, ricerca, funzionamento degli atenei e del Ministero), con chiare caratteristiche di indipendenza e terzietà rispetto sia al Governo che alle università, dotata di personale tecnicamente preparato e di adeguate disponibilità finanziarie.
L'attività dell'Autorità giocherà da fattore regolativo delle politiche universitarie, comprese quelle di reclutamento e assunzione, ma occorreranno alcuni anni. Nel frattempo non si può rimanere indifferenti davanti alla vasta sfiducia che colpisce i concorsi universitari, indebolendo l'intero sistema universitario rispetto all'opinione pubblica. Non esiste una ricetta magica che eviti le eventuali patologie. Meno che mai il ritorno a procedure già sperimentate in passato senza successo.
Proponiamo di apportare subito significativi miglioramenti all'attuale legge sui concorsi locali, prevedendo che ciascun settore scientifico-disciplinare elegga ogni due anni una lista di "commissari nazionali" (con opportune regole di non immediata rieleggibilità) e che la commissione di ciascun concorso sia formata semplicemente sorteggiando cinque "commissari nazionali", con esclusione dei docenti dell'ateneo interessato. Alcuni vantaggi: omogeneità di giudizio nel biennio, imprevedibilità della composizione della commissione, responsabilizzazione della comunità disciplinare. La commissione dovrebbe inoltre essere obbligata a raccogliere sui candidati giudizi anonimi, anche comparativi, di referee stranieri e a tenerne conto nella selezione del candidato più meritevole.
3. Rilanciare la ricerca libera
Per fare una buona università occorre dare impulso all'attività di ricerca. In tutti i campi, nessuno escluso, perché l'avanzamento della conoscenza si nutre del contributo di tutte le discipline. La storia insegna che la curiosità del ricercatore e la sua libertà di azione sono, senza eccezioni, i fattori fondamentali di successo e che non si può avere ricerca applicata per l'innovazione, anche industriale, senza uno sviluppo sistematico e diffuso della ricerca libera.
Negli ultimi anni sono diminuiti drasticamente i finanziamenti per la ricerca universitaria liberamente proposta in tutti i campi, attraverso i Progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN), tanto che quasi metà dei progetti presentati rimane senza alcun finanziamento, con risultati disastrosi sulla stessa sopravvivenza di gruppi universitari di ricerca.
Proponiamo l'immediato aumento del finanziamento annuale dei PRIN. Inoltre, per migliorare il trasferimento tecnologico, ribadiamo la necessità di defiscalizzare le attività di ricerca svolte congiuntamente da università e imprese.
4. Completare l'assetto autonomistico delle università.
Troppe leggi e leggine regolano la vita universitaria italiana, stratificandosi confusamente da oltre settant'anni. Recenti atti governativi hanno rilanciato il ruolo del centralismo ministeriale, rimettendo in discussione l'autonomia degli atenei.
Proponiamo di riprendere e portare a compimento l'autonomia delle università, mediante una normativa quadro essenziale sui principi regolatori dell'autonomia, in forma eventualmente di un Testo Unico, che abroghi le norme che imbrigliano il sistema soffocandone l'autonomo dispiegamento, riduca drasticamente la burocrazia e deleghi alle singole università tutte le competenze che non attengono alla definizione degli obiettivi strategici del sistema.