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Non c’è vera riforma del reclutamento senza formazione iniziale ai neoassunti

di Manuela Ghizzoni*

07/06/2021
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Il Sole 24 Ore

Le norme di ambito scolastico del decreto legge Sostegni bis e il dibattito che ne è scaturito hanno trascurato il tema del profilo professionale dei docenti e delle competenze necessarie a svolgerlo. Tema centrale quanto necessario perché costituisce uno degli indicatori di qualità dei sistemi d’istruzione e contribuirebbe a fornire una cornice di senso nella scuola del dopo-Covid.

Sebbene sia prevista anche nel Pnrr, la formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria pare finita nel cono d’ombra: con un inspiegabile ribaltamento di prospettiva, il Governo ha messo mano, nel decreto, alle modalità di “reclutamento” e ha rinviato a un passaggio successivo la definizione delle caratteristiche professionali che i candidati al concorso devono possedere. Ci si riferisce, oltre ai saperi e competenze culturali e disciplinari, a quelli che attengono alle scienze dell’educazione, alle metodologie didattiche, al digitale, alla valutazione e autovalutazione, all’organizzazione, alla relazionale e all’orientamento, alla ricerca e alla riflessività.

Il/la docente opera quotidianamente in questa multidimensionalità, pertanto per la scuola secondaria non è più procrastinabile l’istituzionalizzazione di un percorso di formazione e tirocinio, che per il Partito Democratico deve essere integrato all’immissione in ruolo. Al percorso, post lauream, si deve accedere mediante concorso per un numero di posti corrispondenti al fabbisogno. Ai vincitori è attivato un contratto biennale, con prova finale (ad esempio un progetto di ricerca-azione), dopo la quale si entra in ruolo avendo già assolto all’anno di prova. Il percorso teorico e pratico prevede per il primo anno (retribuito) una formazione tesa alla specializzazione professionale associata ad attività di tirocinio diretto, di accompagnamento riflessivo sulle esperienze maturate e di insegnamento affiancato, con la collaborazione di tutor universitari e scolastici; nel secondo anno, l’attività formativa prosegue contestualmente all’effettivo servizio di insegnamento su posto vacante e disponibile. Il percorso di formazione e tirocinio deve svilupparsi all’interno di un quadro di condivisione di scelte e responsabilità tra università o istituzioni Afam e istituzioni scolastiche statali e deve altresì godere di investimenti specifici che, fino ad ora, non sono mai stati destinati alla formazione iniziale dei docenti delle scuole secondarie, sebbene essa faccia realmente la differenza nei livelli di apprendimento di studentesse e studenti.

Con rigore e coerenza rispetto agli obiettivi, al percorso è raccordata una procedura per chi già insegna nella scuola da almeno 3 annualità senza un titolo abilitativo o di specializzazione: all’accesso e in itinere se ne accerteranno i saperi e le competenze professionali acquisite sul campo, che saranno integrati con specifici moduli formativi.

L’occasione di mettere mano al percorso di formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria non va sprecata perché è adesso che serve un supplemento di professionalità per affrontare problemi pedagogici, didattici e relazionali inediti. E ci auguriamo che questa riforma possa essere condivisa dall’ampio schieramento che sostiene il governo: la si metterebbe al riparo dalla damnatio memoriae che ha colpito, una dopo l’altra, le precedenti modalità di formazione dei docenti di scuola secondaria (Siss, Tfa e Pas, Fit) e che ha bloccato – di fatto – le aspettative di tanti giovani di poter insegnare, di saperlo fare e di poterlo fare attraverso un percorso certo, chiaro e di durata limitata, senza dover ricorrere all’autoapprendimento in servizio “precario”.

*Responsabile Istruzione Partito Democratico