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«Non pagano la mensa». E i bimbi senza pranzo restano a guardare

stavolta tocca a una scuola elementare della città di Caserta mostrare dove possa arrivare la crudeltà istituzionale

19/03/2012
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l'Unità

Toni Jop

Bimbi, mostrate il ticket. Niente ticket? Allora niente mensa, però restate qui a vedere come masticano bene i vostri compagni di classe, e com’è bello mangiare quando si può pagare. Cronache marziane da quest’Italia cialtrona e senza cuore: stavolta tocca a una scuola elementare della città di Caserta mostrare dove possa arrivare la crudeltà istituzionale, ma evitiamo di gridare allo scandalo, situazioni analoghe ormai punteggiano la penisola. E questa è la storia denunciata dalla Cgil in una realtà messa alle corde dai tagli alla spesa dei Comuni e dalla insensibilità di molti amministratori che ora si sbracciano cercando di difendersi dal clamore scatenato da questa immagine che nessuno ha mai ovviamente fotografato. Quinto circolo, è l’ora del pasto. I bambini si accalcano per ricevere “il rancio”, qui si fa tempo pieno. La maggioranza riceve ciò che chiede, alcuni pare tre restano a mani e bocche vuote perché non in possesso del ticket. Ma come si fa a dire a un bambino: tu non mangi? Tragedia al cubo, ecco che i bimbi vengono costretti a restare dove sono, seduti su seggiolini appartati da dove possono e in realtà devono assistere impotenti alla scena. Che cos’è, il set mai visto di un film di Chaplin? La pagina perduta di un racconto di Dickens? Spiegheranno poi, i dirigenti scolastici che non si poteva lasciar andare i bimbi a casa o altrove poiché nel tempo pieno la parentesi della mensa è comunque spazio formativo, obbligatorio. Certo, hanno inventato una tagliola istituzionale di sicuro impatto formativo. Così quei bimbi restano lì davanti costretti a maturare una atroce coscienza di classe, in tutti i sensi. La notizia del duro apprendistato fa il giro della regione, ne parlano un po’ tutti, la Cgil denuncia il fatto. E i dirigenti scolastici provano a tamponare la falla: «Figuriamoci assicura la direttrice alla fine hanno mangiato tutti, io stessa ho telefonato perché la situazione si sbloccasse, solo abbiamo atteso una risposta dai genitori che avevano lasciato i loro figli senza ticket». La spiegazione fa ridere i vampiri: fosse così come racconta, dovremmo capire che si sono usati i bambini e la loro fame per convincere le famiglie a pagare una retta che non costa meno di 70-90 euro mensili. A scuola sono convinti che solo un furbo possa non pagare, non passa loro nemmeno per la testa che alcune famiglie non abbiano i soldi per farlo. Ci sono un paio di evidenze discutibili alle spalle di questa situazione: da un lato, la decisione di mettere dei ticket nelle mani dei bambini, sarà davvero educativo? Dall’altra, i costi della mensa, non bassi, sono decisi dall’amministrazione comunale che ha costretto l’utenza a servirsi di un fornitore preferito, secondo molti genitori, ad altri service più economici. Il tutto in un clima deprimente favorito da una giunta di centrodestra, sindaco pidiellino con passato in An, Pio Del Gaudio. Nei mesi scorsi i genitori di un’altra scuola casertana, la De Amicis, hanno provato a gestire e a finanziare da sé il servizio mensa. La scuola pubblica, a Caserta ma non solo, è a questo stadio, eppure nella provincia esistono ben quattrocento istituti privati, bene ingrassati da quanti, spaventati dall’inferno del settore pubblico, decidono di trasferirvi i loro figli. Dopo Adro, dopo Montecchio situazioni molto note targate Lega ecco quindi Caserta ad arricchire la sensazione che stia mutando qualcosa di sostanziale nella nostra scuola, che stia tornando ad essere, com’era molti decenni fa, un laboratorio della discriminazione di classe, in cui ai bimbi viene chiesto di reggere il capestro dei padri e delle madri. ❖