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Oltre il nozionismo/Così la scuola porterà i giovani nel futuro

Studiare con profitto resta il principale strumento per migliorare o mantenere la propria condizione sociale sia nei Paesi avanzati che in quelli più poveri

17/02/2021
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Il Messaggero

Giuseppe Roma

Non sono pochi i problemi del nostro Paese che si ripropongono ciclicamente nel tempo, senza sostanziali cambiamenti e credibili soluzioni. Fra questi ha grande rilievo quello della scuola la cui importanza viene invocata da tutti, ma, molto spesso, solo a parole. Nell’antropologia degli italiani opera un meccanismo per il quale gli stessi che criticano e si lamentano per quanto funziona male, si ritraggono di fronte anche a piccoli cambiamenti, non volendo rinunciare neanche a modesti vantaggi personali o di categoria. 
 

È quanto accade per la proposta, emersa nel corso delle consultazioni del presidente Draghi, di recuperare in giugno una parte delle giornate d’insegnamento andate in fumo per il lockdown. Un suggerimento peraltro avanzato qualche tempo fa da un gruppo di insegnanti e validato in gennaio dalla Fondazione Agnelli, uno dei più titolati istituti che studia proprio le problematiche dell’istruzione.


Nello scorso anno scolastico sono stati persi dai 75 agli 84 giorni di lezione a seconda delle regioni, cui si aggiungono gli altri saltati nell’attuale. Il buon senso consiglierebbe di recuperarne il più possibile per svolgere i programmi con maggior profitto. Vedremo come andrà a finire: se prevarrà una vera e sincera preoccupazione verso la formazione dei giovani o le rivendicazioni dei vacanzieri. Per gli studenti e le famiglie non sembra un’intollerabile turbativa, ma bisognerà evitare che l’impatto penalizzi gli insegnanti, il cui diffuso impegno ha contato non poco nel tenere in piedi un traballante sistema formativo nell’emergenza pandemica. 
Questo episodio d’attualità porta a riflettere sull’effettivo apprezzamento di cui gode la scuola presso l’opinione pubblica. Studiare con profitto resta il principale strumento per migliorare o mantenere la propria condizione sociale sia nei Paesi avanzati che in quelli più poveri. Un sentimento molto forte nell’Italia del dopoguerra, ma oggi affievolito soprattutto per le difficoltà d’inserimento delle nuove generazioni, anche quelle più qualificate, nel mercato del lavoro. 


Bisogna, inoltre, aggiungere lo scarso riconoscimento, in Italia, delle competenze e del merito come principale meccanismo di selezione occupazionale e professionale. Ora però i giochi potrebbero cambiare in quanto l’area di maggiore investimento dei finanziamenti europei destinate ai giovani, riguarda proprio la formazione. È una premessa importante, ma sappiamo che i soldi senza una strategia non porteranno a conseguire migliori risultati. 
Bisogna per questo motivo pensare allora a un diverso posizionamento del sistema formativo. La nostra scuola è ancora troppo legata a una logica statica, di trasmissione ai giovani, nel migliore dei casi, di un bagaglio culturale solido ma immutabile nel tempo, senza una bussola d’orientamento. 


Di fronte a un futuro che prospetta innovazioni dirompenti e lavori oggi inimmaginabili, è importante sviluppare nuove attitudini orientate alla risoluzione dei problemi, più che alla riproposizione di conoscenze già sedimentate. Non è sufficiente sapere, è indispensabile avere strumenti per usare quello che si conosce. Una tale impostazione, più orientata alla vita attiva, al lavoro e all’operatività, costituisce una forte discontinuità rispetto all’idea ancora prevalente in Italia di una formazione, valida in sé, ma completamente slegata dalla realtà sociale ed economica. 
Per incidere e dare maggiore autorevolezza alla scuola è, inoltre, necessario avvicinarla ai cittadini, alla vita quotidiana delle famiglie, che spesso guardano al sistema formativo con diffidenza e persino in modo conflittuale. Sarebbe molto importante che nel Recovery Plan si pensasse a un grande progetto nazionale per far diventare i complessi scolastici i nuovi centri civici dei quartieri. Con oltre la metà degli edifici scolastici degradati o non a norma, la rappresentazione fisica dell’istruzione offre un’immagine di trascuratezza e inefficienza di fronte alla comunità. 


A migliorare la situazione non basterebbe il solo efficientamento edilizio, ma servirebbe un’operazione progettuale architettonica e urbanistica. Asili e scuole primarie vanno pensate certo per i bambini, ma anche per sostenere i genitori, e soprattutto le madri, negli impegni lavorativi. Le scuole secondarie possono diventare uno spazio pubblico urbano a servizio della vita collettiva, destinato oltre che all’insegnamento strutturato, anche ad altri utenti e ad altre funzioni con un più intenso uso temporale. Costruire la scuola del futuro concettualmente e fisicamente darebbe il senso di un grande investimento per i giovani. E ci farebbe anche un po’ sognare, alimentando un sentimento di fiducia e la voglia di fare.