Patrizio Bianchi, l’ascesa dalla task force di Azzolina alla guida del ministero dell’Istruzione
Un’economista teorico del «territorio educante» in continuità con la stagione delle riforme che hanno trasfigurato la scuola italiana. In vista del «Recovery Fund» che il governo Draghi dovrà realizzare si spende molta enfasi a descrivere l'istruzione come «formazione professionale, competenze e eccellenze»
Roberto Ciccarelli
Il programma di governo del neoministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, docente di economia applicata e già a rettore a Ferrara con interessi sulla riforma della pedagogia e dell’istruzione, è stato esposto il 9 giugno 2020 in un’audizione alla commissione cultura della Camera. In quella sede Bianchi espose le conclusioni del rapporto della «task force» voluta dall’ex ministra Azzolina e mai rese del tutto note. Con un’indubbia capacità comunicativa e retorica, basata sulla neo-lingua dei manager e degli economisti dell’istruzione, Bianchi ha ripreso il concetto di «autonomia» formalizzata dalla riforma Berlinguer-Zecchino (2000) e strutturata dalla «Buona scuola» di Renzi (2015), riforme-emblema di una stagione mai ripensata degli eredi del partito comunista convertiti alla pedagogia neoliberale.
BIANCHI, più di recente, ha formulato la sua visione nel libro «Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia» (Il Mulino), questa «autonomia» è declinata nei termini di uno «sviluppo inclusivo e sostenibile» e nella logica di una sussidiarietà che cerca di equilibrare le esigenze delle imprese con quelle di un’economia basata sul concetto generico di «comunità». Rispetto all’enfasi neo-imprenditoriale alla Renzi, per intenderci, questo approccio è consonante con la nuova stagione ideologica che si apre con il governo Draghi: quella di un’economia sociale di mercato che considera l’istruzione e la ricerca come «investimenti» sul «capitale umano» mentre lo «sviluppo» è declinato come un’occasione di «inclusione» e di crescita della «comunità» e della «socialità». Concetti in fondo neutrali, ispirati a un generico umanesimo, usati per descrivere l’inserimento della scuola nei «patti di comunità», un’espressione che può essere intesa come il compimento del processo di disarticolazione della scuola della Costituzione. L’insistenza sulla coppia territorio-autonomia ha prodotto disuguaglianze sociali e povertà educative drammatiche che hanno creato un’autonomia differenziata nei fatti tra le scuole del Nord e del Sud, come si è visto anche nel conflitto permanente tra il governo «Conte 2» e le regioni nel corso del primo anno della pandemia.
A VIALE TRASTEVERE, da oggi, si parlerà di «territorio educante». Bianchi considera questo concetto come il superamento della scuola basata sullo «specialismo della materia» e sulla «competenza disciplinare» verso nuove attività di «socializzazione». Questo approccio sembra perdere interesse rispetto alla prima comunità in cui dovrebbe realizzarsi la crescita culturale e personale degli studenti: la classe. Un obiettivo evocato da molte teorie come il «Cooperative learning», la «Flipped Classroom» (Classe rovesciata) o la « Jigsaw» (Classe puzzle) alle quali faceva riferimento l’ex ministra Azzolina quando ha imposto uno dei principali esiti del suo mandato: i banchi con le rotelle acquistati nel pieno della pandemia.
NELL’AUDIZIONE di Bianchi alla Camera colpisce anche il progetto del superamento del gruppo classe; l’annuncio della rimodulazione degli orari delle lezioni decisa localmente; il consueto pegno pagato da tutti i riformatori della scuola dell’ultimo quarto di secolo alla pedagogia neoliberale delle competenze contenuta nei sillabi dell’Ocse.
NELLA SUA ESPOSIZIONE Bianchi parla di «collaborative problem solving skills», ovvero «le competenze per risolvere i problemi insieme». Formule di larghissimo uso tra i teorici della governance scolastica che segnano il passaggio dalla scuola intesa come elaborazione dei saperi e della conoscenza alla scuola come trasmissione della capacità di risolvere i problemi. Quest’ultima è l’attitudine richiesta al lavoratore «flessibile» che si adatta «creativamente» alla richieste temporanee dei cicli produttivi e all’andamento erratico del mercato del lavoro che richiede abilità e competenze «morbide» e «trasversali» e mai dense e critiche. Questo è l’orizzonte in cui si muove lo stesso «Recovery Fund» dove prevale una visione professionalizzante della scuola.