Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Pensioni, rivolta su laurea e naja

Pensioni, rivolta su laurea e naja

Rabbia sul web e sui blog. Anche decine di migliaia di euro per riscattare un titolo di studio

31/08/2011
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Federica Fantozzi

C’è chi, trent’anni fa, per la chiamata di leva perse il posto da apprendista. Chi lamenta i quasi 10mila euro «scippati» dallo Stato per 4 anni di studi riscattati. Chi quantifica in dieci volte tanto il danno subito da lui e sua moglie, un amore nato sui banchi dell’università. Chi si indigna per lo sfregio al servizio civile, nomen omen, chi mette in mezzo gli avvocati, chi auspica una class action contro l’Inps, chi - infine - si frega le mani per la gioia di aver lasciato l’Italia. Una parola aleggia ovunque: truffa. Sulla Rete è rivolta contro la norma - ancora oscura quanto provvisoria nella formulazione - con cui il governo ha “sterilizzato” il servizio militare e il riscatto della laurea ai fini del calcolo dell’anzianità pensionistica. È uno degli emendamenti alla manovra di Ferragosto, approdata in commissione Bilancio a Palazzo Madama, frutto del vertice mordi e fuggi di Arcore: un micro-intervento settoriale sulle pensioni di anzianità, un bisturi (il terzo dopo l’apertura di due “finestre” in altrettanti anni) sulla soglia dei 40 anni di contributi. Una modifica che il Sole 24 ore definisce «punitiva» mentre, on line e sui social network, nascono gruppi come «siete dei ladroni» ed «erano soldi e non fiches». Con il nuovo regime, in vigore dal 2012, per andare in pensione a prescindere dall’età (cioè per via esclusivamente contributiva) bisognerà avere alle spalle almeno 40 anni di lavoro effettivo .Non conteranno più, come finora, gli anni del servizio di leva e dell’università. E chi ha già riscattato la laurea, con costi variabili da 10mila euro al triplo, a seconda dell’intervallo di tempo e dello stipendio che percepisce? Secondo Palazzo Chigi le annualità continueranno a valere ai fini del calcolo dell’ammontare della pensione. Cioè si andrà in pensione 4 anni dopo ma con una base imponibile più alta. Il che avrà effetto per chi ha cominciato a lavorare dopo il ‘95 fruendo del sistema pensionistico contributivo e per chi beneficia del sistema misto (retributivo fino a quell’anno e poi contributivo). Resta però scoperta una fetta di dipendenti, quella che nel ‘95 aveva già oltre 18 anni di contributi e dunque va in pensione solo col retributivo. Per costoro - salvo norme transitorie - la pensione massima è calcolata su 40 anni di versamenti: dunque, una perdita secca di tempo e denaro. Il governo non se ne cura. Non il ministro Sacconi, ideatore dei nuovi conteggi e promotore della trattativa con la Cisl (che però, in una nota di ieri, «sollecita l’esecutivo a ritirare il provvedimento» minacciando mobilitazioni). Non la Lega, con Bossi in trincea sui lavoratori del Nord, ma che evidentemente non annovera gli studenti nello zoccolo duro del suo elettorato. Non Tremonti, pur tramutato dal fuoco amico nell’ «intellettuale di Sondrio», proprio lui che al termine di un cruento consiglio dei ministri, con Bondi sull’orlo delle lacrime, sentenziò lapidario: «La cultura non dà il pane». Non la Gelmini, già ribattezzata dall’onda studentesca «ministra della Distruzione», che subisce l’ennesimo oltraggio al segmento di società che le fa riferimento. De minimis non curat praetor, direbbe forse La Russa. Meglio concentrarsi sui numeri: su 180mila pensioni di anzianità erogate dall’Inps nel 2010 ben 125mila riguardavano i 40 anni di contributi. Il risparmio previsto è di 500 milioni di euro nel 2013, il doppio nel 2014. Purché, s’intende, non ci siano contraccolpi. Furibondi medici (i più colpiti: con specializzazione e tirocinio hanno in ballo 9-12 anni), psicologi, laureati di ogni tipo. Delusi e traditi si sentono quelli che hanno fatto il servizio militare - sottolineano - obbligatorio. Anche la Cgil è sul piede di guerra. Camusso parla di «golpe», Vera Lamonica, segretaria confederale, di norma «inaccettabile e illegittima». Non solo sciopero, quindi: «Apriremo un contenzioso infinito. Se il testo resta così, vedo un allungamento ad libitum della permanenza al lavoro per alcuni, e un messaggio devastante ai giovani: studiare non vale niente. Il militare poi era obbligatorio e faceva parte di un patto con lo Stato: pacta sunt servanda vale solo per i capitali scudati?». Lamonica individua infine due «mine vaganti». Una: «E se scorporando laurea e militare qualcuno si ritrova a passare dal sistema misto a quello retributivo? Allora sì che gli effetti sarebbero pesanti». E due: «Il testo parla di “effettivo lavoro”. Ma i contributi figurativi riguardano molte altre situazioni: maternità, infortunio, invalidità...». Effetti indesiderati persino per il governo.