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Per gli studenti la cultura generale è più importante del lavoro

i nostri laureati, purtroppo molto spesso, sono largamente impreparati anche su cognizioni che dovrebbero essere state ampiamente acquisite già nella scuola secondaria, se non addirittura nella primaria

11/09/2013
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Il Messaggero


Lucetta Scaraffia


Il ministro Carrozza ha avuto un’esperienza di docenza universitaria di élite, nel Collegio Sant’Anna di Pisa, e forse prima di proporre le necessarie e urgenti riforme per la scuola del nostro paese dovrebbe tener conto anche di realtà meno fortunate. Chiedere un’esperienza di lavoro agli studenti universitari è un’idea bella solo sulla carta, praticabile magari in altri paesi ma non in Italia. Innanzitutto per un motivo concreto: quei lavori che lei suggerisce a ragazze e ragazzi delle nostre università oggi sono contesi dai laureati disoccupati – cioè dalla maggioranza di chi si è laureato negli ultimi anni, purtroppo anche in materie scientifiche o in ingegneria – che non vogliano, o non possano, vivacchiare a spese delle loro famiglie.
È una pena vedere giovani bravi, magari anche preparati, ma soprattutto pieni di energie e di entusiasmo, costretti ad accettare lavori ben lontani da quello che era il loro progetto. E se pensiamo che per loro sarà comunque un’esperienza positiva – per esempio, se per un giovane economista disoccupato lavare le scale di un condominio o raccogliere i pomodori può costituire un’esperienza formativa – questo fatto non lo è certo per il nostro paese, che perde il loro contributo specifico nella professione per cui sono stati preparati con esborso di denaro pubblico.
Ma c’è anche un’altra ragione a suggerire che si tratta di un’idea fuori luogo: i nostri laureati, purtroppo molto spesso, sono largamente impreparati anche su cognizioni che dovrebbero essere state ampiamente acquisite già nella scuola secondaria, se non addirittura nella primaria. Come l’espressione scritta e orale della lingua italiana, base indispensabile per qualsiasi cosa. Molti laureati – anche in materie umanistiche – non sanno fare un riassunto di ciò che hanno letto, non sanno articolare in modo conseguente un ragionamento, non sanno comunicare in modo comprensibile il loro pensiero. Cioè sono in difetto totale di una cultura di base, di quel livello minimo ma essenziale di sapere che dovrebbe distinguere le persone che hanno studiato dalle altre.
Allora, data questa allarmante situazione, prima di mandarli a fare un’esperienza lavorativa, ideologicamente molto apprezzata ma poco utile ai fini della loro preparazione, non sarebbe meglio proporre misure per innalzare il loro livello di cultura generale e, più ancora, di alfabetizzazione? In fondo, la scuola dovrebbe servire proprio a questo, e non a fare interessanti esperienze nel mondo. Quelle potrebbero farle anche da soli, e forse le fanno. Certo, questa situazione drammatica per il nostro paese – naturalmente non è così in tutta la penisola, ma io parlo per esperienza diretta di un’università di Roma, che può essere considerata una buona media della situazione nazionale – può essere risolta soltanto se si condivide un’idea comune di cultura generale, cioè di quel livello minimo che tutti gli studenti dovrebbero acquisire. Per esempio, avere abolito i riassunti alle scuole medie fa sospettare che per molti pedagogisti saper riassumere un testo sia un’abilità perfettamente inutile.
Infatti, se in passato gli italiani avevano un’idea condivisa – magari un po’ semplicistica ma in fondo chiara – di cultura generale, oggi la questione sembra che non interessi nessuno. Un esempio viene dai tanto vituperati test di ammissione alle facoltà a numero chiuso, certo necessari in un’ottica meritocratica. Per tutte le facoltà sono previste domande di cultura generale, e proprio da questi test si capisce cosa oggi si intenda per cultura generale. Bastino due esempi recenti. Poche settimane fa, alla prova d’accesso a infermieristica a Roma, una delle domande era: «Quale cd dei Nirvana è stato riedito nel 2012?”. E l’anno scorso, alla stessa prova: «Quale italiano ha avuto la copertina del Times oltre a Mario Monti?». Questa sarebbe la cultura generale? È più che lecito nutrire forti dubbi in proposito. Del resto, i quiz vengono preparati – e a caro prezzo – da agenzie apposite, e non dai docenti che insegnano in queste facoltà o dai professionisti che hanno svolto quel corso di studi. Mi sembra che qualcosa di molto grave non funzioni nel nostro sistema educativo, e che l’idea di far lavorare gli studenti rappresenti un palliativo poco efficace davanti a disastri simili.
Di recente mi è successo, nella mia facoltà di Lettere, di sentirmi porre da una studentessa – dopo che avevo citato per caso Dante e la Divina commedia nel corso della lezione di storia – una domanda: «Mi ricorda la trama per favore?». La ragazza non stava scherzando, non si trattava di una provocazione, e gli altri studenti non sono scoppiati a ridere, ma aspettavano in silenzio questa necessaria delucidazione.