Per le superiori lezioni in aula al 70%
«E presto classi con meno studenti»
di Gianna Fregonara e Orsola Riva
Da lunedì torneranno in classe almeno due studenti delle superiori su tre. Il Consiglio dei ministri ieri ha corretto il compromesso raggiunto martedì sera dai ministri Gelmini, Bianchi e Giovannini con le Regioni e gli enti locali e ha ritoccato la soglia minima delle presenze in classe: non il 60 per cento ma il 70 nelle zone gialle e arancioni — così ha imposto il premier Mario Draghi — mentre nelle zone rosse la percentuale degli adolescenti in classe sarà soltanto tra il 50 e il 75 per cento. «Il traguardo è raggiungere il 100 per cento partendo da situazioni diverse», aveva detto nel pomeriggio il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
Già, ma come? «Uno degli obiettivi del governo è quello di cominciare a ridurre la numerosità delle classi», ha spiegato a Tgcom24. Snellirle sembrerebbe la soluzione più logica per far tornare tutti a scuola in sicurezza. Ma che ci si riesca entro settembre appare quasi impossibile tanto più che non si è ancora fatto niente. Eppure da tempo i presidi fanno notare che con 27-30 alunni per classe — come prevede al momento la normativa — non sarà facile tornare a quella «nuova normalità» di cui parla sempre Bianchi.
Il problema delle cosiddette classi pollaio è annoso quanto controverso. Se ci si ferma al dato medio nazionale — 19 alunni per classe alle elementari, 21 alle medie e 22 alle superiori — verrebbe da pensare che le aule italiane non siano poi così affollate. Ma un conto sono i piccoli comuni montani e le isole, un altro le grandi aree metropolitane, da Milano a Roma. È qui che si registrano i maggiori problemi di spazio. Soprattutto alle superiori dove i presidi ogni anno, al momento di comporre le prime, hanno le mani legate visto che per legge non possono stare sotto i 27 alunni per ogni classe. Nonostante i proclami dei governi la norma del 2009 che porta il nome dell’allora titolare dell’Istruzione Mariastella Gelmini non è mai stata modificata.
I prof in più
Rinnovato il contratto al cosiddetto «organico Covid»: circa 50 mila docenti a termine
L’ultima a provarci era stata Lucia Azzolina quand’era ancora solo deputata del M5S, presentando un disegno di legge che prevedeva un tetto di 22 alunni dall’asilo al liceo. Peccato che una volta diventata ministra sia stata costretta ad accantonarla: troppo costosa, come le ha risposto il ministero dell’Economia dopo una simulazione dei tecnici del Miur, anche volendo lasciare il tetto a 24 alunni. E così nell’ultima legge di Bilancio ci si è dovuti accontentare di rinnovare il cosiddetto organico Covid, circa 50 mila docenti assunti con contratto a termine di un anno sparpagliati su 40 mila plessi (poco più di uno a scuola). È vero che così quest’anno i posti dell’organico scolastico sono rimasti inalterati nonostante sia sceso il numero degli studenti per il calo demografico (meno 50 mila alunni circa), ma gli effetti si vedranno soprattutto nelle scuole d’infanzia e alle elementari, molto meno alle superiori. Mentre nel frattempo l’emergenza Covid ha reso inservibile la maggior parte delle aule, troppo piccole per poter contenere 25-30 alunni (questa è la situazione di quasi 30 mila classi su 135 mila nelle superiori) seduti a un metro di distanza l’uno dall’altro.
Senza un intervento per sfoltire il numero di studenti non resterà che il sistema più cruento delle bocciature, anticamera della dispersione scolastica che Bianchi dice di volere combattere.